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L'analisi
10 Novembre 2025 - 08:20
Banca
BARI - Fare banca è cosa molto complicata e significa fare gestione del rischio. Proviamo a capirci qualcosa.
Che succede e chi paga in caso di insolvenza di un mutuatario? Quando un mutuatario deve intendersi insolvente? Che si fa se un credito diventa inesigibile? Certo, non prendiamo quei soldi dai conti correnti ma dal patrimonio della banca che così diviene centrale nella valutazione della sua credibilità. Da qui discende tutta l'azione di una Banca! Per esempio nell’inseguire il debitore anche dopo la morte, o nell'accantonamento dei profitti a garanzia della morosità, o nella periodica necessità di aumentare il patrimonio dell’istituto con nuove emissioni di capitale e azioni, o, ancora, nella selezione rigidissima dei mutuatari meritevoli di prestito.
E qui emerge la questione delle PMI e delle famiglie. Cosa serve a dare credibilità a questa categoria di clientela? Varie e mutevoli sono le condizioni previste, ma resta enorme la distanza tra il credito che le piccole imprese dovrebbero ricevere per crescere e quello che le banche effettivamente concedono. Sembra che i “piccoli” vengano progressivamente esclusi dal sistema del credito.
E deve essere vero, visto che i grandi finanzieri internazionali, che dettano le regole agli istituti di credito attraverso le famigerate direttive note come “Basilea”, hanno trovato la loro soluzione. Quale? Semplice: prestano agli Stati, che possono attingere illimitatamente dalle tasche dei cittadini per pagare gli interessi sul debito pubblico. Così il debito può crescere all’infinito, rinnovandosi senza scadenza, purché si paghino gli interessi. In questo modo l’umanità intera lavora per pagare le tasse, destinate a finanziare i profitti dei grandi poteri finanziari, i veri nuovi imperatori del mondo.
Da questo meccanismo restano esclusi solo gli Stati con basso merito creditizio, ma anche loro trovano scappatoie: come nel caso del Pnrr, basta la firma dell’Unione Europea, dotata di tripla A, per garantire nuovi debiti. E così anche l’Italia può dire di partecipare all’arricchimento dei colossi finanziari globali. Le PMI, invece, devono arrangiarsi, condannate a essere sostituite dalle multinazionali della distribuzione, dell’alimentazione, dell’arredamento.
Ecco spiegato il credito difficile e la crescita di una finanza ormai più grande degli Stati, capace di usarli come strumenti di potere, sacrificando le piccole imprese, le vere galline dalle uova d’oro che tengono in piedi l’intero sistema, finanza compresa.
Tutto questo come si concilia con la filosofia del rigore del senatore a vita Mario Monti? È ormai superata e archiviata come un abito demodé. Oggi va di moda il “debito buono” del secondo Mario, Draghi, sempre in sintonia con i poteri forti. Ma ciò non significa che la strada del rigore fosse la migliore: applicarlo alle PMI e alle famiglie, veri creatori di ricchezza e pagatori di tasse, è stato un errore. Andava riservato, semmai, ai percettori di tasse, cioè ai dipendenti pubblici.
Ma gli Stati sono consapevoli di tutto questo? No, perché sono governati da chi vive di tasse, interessato a mantenere lo statu quo e selezionato non per visione o competenza, ma per fedeltà politica e appartenenza ai partiti.
È inutile dirlo: questo sistema accentra sempre più la ricchezza, escludendo dal banchetto chi non si piega alle sue logiche. E così intere nazioni rischiano di scivolare verso la marginalità, fino allo spopolamento e alla scomparsa.
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