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L'appuntamento
04 Novembre 2025 - 11:46
La presentazione del libro di Raffaele Romano "Andreotti, Craxi e Moro visti dalla CIA"
ROMA - Continua il tour di presentazioni di libri di storia contemporanea di Raffaele Romano. La prossima si terrà a Roma nella splendida cornice di una strada artistica e storica come via Margutta al civico 90 ospite della gallerista Teresa Zurlo titolare della famosa Galleria Internazionale Area Contesa. Il titolo è già un programma: “Andreotti, Craxi e Moro visti dalla CIA”.
L’autore, spesso, cita una famosa risposta che Giulio Andreotti dava a chi gli chiedeva cosa fossero gli Stati Uniti, riportata quasi come un flash illuminante sulla realtà del grande Stato nordamericano: “La CIA è una cosa, il dipartimento di Stato un’altra, la DIA un’altra ancora e la Casa Bianca sta per proprio conto!”. Tutto ciò per far comprendere come in geopolitica e in diplomazia gli USA abbiano, al proprio interno, “diverse visioni sul mondo” in contrasto con quella visione monolitica che in realtà non è mai esistita e continua a non esistere. L’altra citazione che Romano ripete riguarda Robert Rackmales, in quel periodo ufficialmente “incaricato d’affari” dell’ambasciata americana, che, com’è noto, è stato sempre il modo per vestire e rendere inattaccabili gli uomini dell’intelligence per renderli così intoccabili.
Rackmales aveva il filo diretto col Pci attraverso Tonino Tatò, storico braccio destro di Enrico Berlinguer e intervistato da Charles Stuart Kennedy per la rivista The Association for Diplomatic Studies and Training Foreign Affairs Oral History Project dell’11 maggio 1995 così si esprimeva: “Eravamo preparati ad usare accuse di corruzione contro persone che pensavamo stessero mettendo a repentaglio aspetti della nostra politica, anche se erano il Primo Ministro e un membro di un partito che altrimenti sostenevamo”. I due strumenti utilizzati giuridicamente e mediaticamente furono: “tangentopoli e mafiopoli” scoppiati, simultaneamente, in Italia, Germania Federale, Francia e Spagna colpendo Andreotti e Craxi, Helmut Kohl, Francois Mitterand e Felipe Gonzales. La corruzione e la vicinanza alle criminalità organizzate hanno un effetto moltiplicatore sull’opinione pubblica con l’uso strumentale di tutti i media possibili. La differenza fu data dalla reazione unitaria dei corpi dello stato tedeschi, francesi e spagnoli che intervennero senza intaccare e né, tantomeno,
incriminare i propri leader politici al contrario di quanto avvenne in Italia.
Raffaele Romano, con un’importante raccolta di report della CIA, e non solo, segue le tracce di un sotterraneo “filo rosso”, che attraversa tutte le vicende italiane dal 1941 al 1994 con l’ingerenza degli Stati Uniti nella nostra vita politica ed economica. Chi avrebbe mai potuto immaginare, ad esempio, che i vertici nazionali del Pci avessero rapporti ad alto livello con gli USA e che l’ambasciata di Roma riferisse a Washington già dal lontano 1970? Su questo punto Raffaele Romano riporta un’intervista di Stefano Vaccara a Maurizio Molinari, autore del saggio “Governo Ombra” (ed. Rizzoli, 2012), all’epoca corrispondente da New York per La Stampa di Torino.
In questa intervista, pubblicata il 15 luglio del 2012 sulle pagine del quotidiano italo americano Oggi7-America Oggi, si evidenziava come i report, da poco desecretati dal Dipartimento di Stato grazie al Freedom of Information Act, portassero alla luce importanti elementi fino ad allora ignoti. Vaccara chiese a Molinari quali fossero state a suo parere le maggiori sorprese che aveva colto dai documenti a cui aveva avuto accesso e l’intervistato rispose che erano state diverse, ma la più importante riguardava l’altissimo ed importante numero di dirigenti comunisti che avevano avuto stretti rapporti con gli americani, concludendo che “si percepisce con chiarezza che gli alti funzionari del Pci recapitano a Washington messaggi tesi a illustrare, motivare e dettagliare le politiche del segretario Enrico Berlinguer. Da qui l’ipotesi che Berlinguer fosse al corrente di quanto avveniva e stesse cercando, in qualche maniera, di costruire un legame con l’amministrazione Carter in vista del giorno in cui il Pci avrebbe assunto responsabilità di governo. Ci fu senza dubbio una strategia comunista di dialogo con Washington. È un tema sul quale sappiamo ancora troppo poco e che potrebbe riservarci sorprese”. Ed è quello che Romano ha fatto e sta facendo.
Altri rilevanti elementi provengono da interviste in cui personalità dell’establishment statunitense dell’epoca dopo anni hanno parlato dell’intromissione negli affari interni italiani. Tra queste, significativa e vitale è quella fatta dal già citato Molinari all’ex console USA di Milano, Peter Semler, il quale senza imbarazzo alcuno ammise di essere stato informato da Di Pietro già nel 1991 che le indagini della Procura di Milano a lui affidate lo avrebbero portato a Craxi e alla DC, quando è noto che la vera esplosione di tangentopoli avvenne solo nel 1992. Senza dimenticare quanto fu dichiarato dall’ex ambasciatore a Roma Reginald Bartholomew, il quale ammise che c’era un legame stretto fra l’ex console di Milano e la Procura milanese, legame che lui provvide a tagliare nel ’93.
Ancor più esplosiva fu l’intervista di Paolo Mastrolilli a Daniel Serwer, all’epoca incaricato d’affari e quindi capo della diplomazia americana a Roma, il quale affermò in un rapporto su tangentopoli che uno dei suoi protagonisti “potrebbe essere un pupazzo manovrato dagli USA”. Ma il filo rosso non riguardò solo Italia e Stati Uniti bensì altri Paesi come Israele dove Meyer Lansky (mafia ebraica) finanziò sia Ben Gurion che Golda Meir per la fondazione dello Stato di Israele. L’accordo dei nascenti servizi statunitensi con le mafie fu sancito nel carcere di Dannemora tramite Lansky per liberare il suo amico Lucky Luciano. Romano fa anche, potremmo dire, una vera e propria riscoperta archeologica, ripubblicando la prima pagina de la Repubblica del 16 marzo 1978, giorno della presentazione del governo di unità nazionale e del rapimento di Aldo Moro, sulla quale esce questo titolo a nove colonne: “Antelope Cobbler? Semplicissimo è Aldo Moro, presidente della Dc”. Lo scandalo legato alla Lockheed fu quello nel quale si registrarono presunte tangenti pagate a politici di mezza Europa per vendere i famosi aerei C 130. Il titolo in questione spostava l’obbiettivo degli attacchi da Giovanni Leone, Presidente della Repubblica, al leader della Dc.
E questo, secondo il nostro autore, rendeva poco credibile l’esistenza del “presunto accordo” sul nascente governo Andreotti con il segretario del Pci Berlinguer. In questo caso, infatti, Eugenio Scalfari, che dirigeva la Repubblica e guidava mediaticamente la politica di Botteghe Oscure, non avrebbe certo attaccato così platealmente il presidente della Dc. Un rapido accenno va agli affari Sigonella ed El Dorado Canyon avvenuti il primo ad ottobre 1985 ed il secondo ad aprile 1986. A gennaio 1986 gli USA avevano rotto le relazioni diplomatiche con la Libia di Gheddafi e nel mese di marzo navi americane attaccarono i libici dopo che questi avevano lanciato missili contro aerei della marina statunitense. La crisi si aggravò allorché il 2 aprile la Casa Bianca accusò la Libia dell’uccisione di 4 persone per un bomba esplosa sul volo TWA 840 da Los Angeles al Cairo. Le cose si inasprirono ancora di più, quando il 5 aprile un nuovo attacco terroristico fece tre vittime, tra cui un soldato americano, nella discoteca La Belle a Berlino Ovest. Gli Stati Uniti sostennero di avere “prove schiaccianti” sul coinvolgimento libico nell’attentato e lanciarono l’operazione denominata El Dorado Canyon.
Questa operazione prevedeva, in primis, l’eliminazione di Gheddafi e comportava un attacco sia via mare, sia via aerea, ma, vista l’opposizione di Craxi prima e a seguire della Gonzales e di Mitterand, gli Stati Uniti dovettero, con i loro caccia, girare al largo dell’Europa e passare da Gibilterra. Gheddafi fu allertato del pericolo telefonicamente dal premier italiano Bettino Craxi, come poi venne confermato in seguito sia da Andreotti, allora suo ministro degli Esteri, sia da Abdel Rahman Shalgham, in quel tempo ambasciatore di Tripoli a Roma. Questa telefonata salvò la vita a Gheddafi e alla sua famiglia.
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