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Il racconto

Sessantacinque anni fa, 9 luglio 1960: così Taranto iniziava la sua storia d'acciaio

L'anniversario della "prima pietra", un presente difficile ed un futuro caratterizzato dai dubbi

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Il Corriere del Giorno di 65 anni fa

Sessantacinque anni. Una vita. Taranto, nove luglio 1960, posa della prima pietra del IV Centro Siderurgico - o Italsider, poi Ilva, Acciaierie d'Italia, la parentesi ArcelorMittal. L'inizio di una storia che si sarebbe rivelata controversa.

«Un moderno tempio del lavoro per il benessere delle nostre generazioni»: il giornale è il glorioso Corriere del Giorno. Il tono riflette quello della stampa del Sessanta. Le dimensioni anche, lontanissime dal quel formato tabloid che avrebbe poi segnato una piccola grande rivoluzione editoriale. Il 9 luglio di 65 anni fa l’uomo non era ancora arrivato sulla luna. Era quasi fantascienza anche la televisione a colori, appannaggio solo degli americani. Al di là di una fittissima Cortina di Ferro, Nikita Krusciov era al timone dell’Unione Sovietica; anche la Crisi dei Missili di Cuba, ed il rischio di un conflitto nucleare senza ritorno, sarebbe venuta dopo.

Eppure, a Taranto si costruiva il Futuro, con la “F” maiuscola. Si iniziava a costruirlo - o almeno così si pensava. «Il Centro Siderurgico di Taranto, di cui oggi si pone la prima pietra, si inserisce come elemento di preminente importanza in un vasto programma di sviluppo produttivo che la Finsider sta attuando. Nel 1965 i quattro grandi centri siderurgici a ciclo integrale del gruppo (Cornigliano, Piombino, Bagnoli, Taranto) potranno produrre da soli oltre cinque milioni e mezzo di tonnellate d’acciaio, con possibili ulteriori espansioni» si leggeva, quel 9 luglio sul Corriere. Iniziava la costruzione del IV Centro Siderurgico, cuore della (ri)nascente industria italiana.

Il Siderurgico di Taranto 

Leggere con gli occhi di oggi quelle pagine, dopo tutto quello che è successo, sta succedendo e forse succederà in quella fabbrica, è un esercizio più difficile di quanto si possa pensare.

Perchè 65 anni fa l’industria e l’industrializzazione erano il “Futuro”, a cui guardare con speranza, stupore, e meraviglia. Nel giorno della prima pietra a Taranto c’erano i ministri Colombo e Ferrari Agradi, lo stato maggiore del Gruppo Iri, i vertici della Ceca, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, i più importanti politici tarantini. Una delle frequenti crisi di governo della Prima Repubblica bloccò a Roma il Capo dello Stato, Gronchi, che due anni prima aveva inaugurato il Ponte Girevole.

A fare da levatrice alla fabbrica più grande d’Europa fu la Finsider, la società dell’Iri che operava nel campo della Siderurgia; lo Stato, comunque. Presidente ed Amministratore delegato della Finsider era allora Ernesto Manuelli, uno dei pionieri della via italiana all’acciaio, uomo che aveva preso parte, attivamente, anche alla Resistenza. Su quello storico numero del Corriere, Manuelli lanciò il concetto di «siderurgia sul mare», «unica ubicazione che consenta ai nostri stabilimenti di produrre economicamente acciaio partendo dalla ghisa: sul mare sono infatti i tre stabilimenti di Cornigliano, Bagnoli e Piombino, nei quali sono in corso lavori di potenziamento che consentiranno di raggiungere l’optimum della dimensione; sul mare è lo stabilimento di Taranto, che costituisce un cardine essenziale del programma Finsider».

Per Manuelli, lo stabilimento tarantino sarebbe diventato «centro propulsore di nuove iniziative che potranno nascere e svilupparsi nel quadro non solo dell’evoluzione economica della zona, ma in quello anche dell’intero sistema industriale italiano. Le lamiere, i lamierini, la latta ed i tubi prodotti a Taranto saranno destinati, oltre che a soddisfare il previsto incremento dei consumi nell’Italia meridionale, a completare l’offerta di prodotti siderurgici sia sui mercati delle regioni centro-settentrionali che sui mercati di esportazione».

Eppure, ci sono parole del capo della Finsider che a distanza di 65 anni assumono un significato inevitabilmente emblematico. «Fra breve dunque nel ridente paesaggio tarantino si inserirà il profilo nuovo e possente degli altiforni. Purtroppo le esigenze della tecnica ci costringono ad iniziare il lavoro con la distruzione della meravigliosa opera della natura congiunta al più vecchio dei lavori umani. Non ce ne vorrà il dio Pan, protettore dei boschi e della vita agreste, il cui culto era così diffuso in queste regioni! Del resto ci conforta il pensiero che immediatamente dopo avrà inizio la nostra azione di costruttori e che dalle ceneri di questi olivi secolari sorgerà un moderno tempio del lavoro capace di dare luce e benessere alla nostra ed alle generazioni che seguiranno».

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