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Bari
21 Maggio 2025 - 14:30
La Cassazione
BARI – Nessuno sconto per chi ha alzato le mani contro una giornalista che stava semplicemente facendo il proprio lavoro. La Corte di Cassazione ha confermato in via definitiva la condanna a un anno e quattro mesi inflitta a Monica Laera, esponente del clan Strisciuglio, per l’aggressione ai danni di Maria Grazia Mazzola, storica inviata del Tg1, colpita mentre documentava le dinamiche mafiose nel quartiere Libertà di Bari.
Il fatto risale al 9 febbraio 2018: Mazzola stava realizzando un servizio per Speciale Tg1 sui giovani e le mafie quando, durante una fase di interviste in strada, fu presa di mira fisicamente e verbalmente. Secondo quanto ricostruito nei tre gradi di giudizio, Laera la minacciò di morte e le causò lesioni, urlandole: “Non venire più qua che ti uccido”.
La sentenza di primo grado e quella d’appello avevano già riconosciuto la responsabilità della donna, aggravata dalla matrice mafiosa del gesto. La Cassazione ha ora respinto il ricorso della difesa, accogliendo in toto la richiesta della Procura generale, che aveva sollecitato la conferma della condanna e la rifusione delle spese legali in favore delle parti civili.
Al fianco di Maria Grazia Mazzola si sono schierati l’Ordine dei Giornalisti, la Fnsi, Libera contro le mafie, l’Associazione Stampa Romana, la Rai e il Comune di Bari, tutti costituiti parte civile nel procedimento. La giornalista è stata assistita dalle avvocate Caterina Malavenda e Antonella Bello, mentre l’accusa ha visto coinvolti, tra gli altri, l’avvocato Antonino Feroleto per l’ASR, Nicola De Fuoco dello studio Sisto per la Fnsi e Enza Rando per Libera.
Presente anche il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, insieme al segretario nazionale dell’Usigrai Daniele Macheda e alla segretaria dell’Ordine del Lazio, Serena Bortone: una testimonianza corale a difesa del diritto-dovere dei cronisti di operare senza intimidazioni e minacce.
I giudici hanno ribadito la correttezza professionale dell’inviata del Tg1 e hanno inquadrato l’aggressione come un atto di ritorsione mafiosa. Un verdetto che suona come monito per chi pensa di poter zittire la stampa con la violenza, ma anche come riconoscimento del coraggio di chi ogni giorno racconta la criminalità organizzata dai territori più difficili del Paese.
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