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Il fatto

Telefonini in carcere, il procuratore di Bari: “Serve un controllo più efficace”

L’inchiesta sul traffico di droga tra detenuti svela falle nel sistema penitenziario. Rossi: “Il Dap deve intervenire, il ministero dia risposte concrete”

Roberto Rossi

Roberto Rossi

BARI - Il traffico illecito di telefoni cellulari all'interno delle carceri continua a rappresentare un problema cruciale per la sicurezza. A ribadirlo con forza è stato il procuratore di Bari, Roberto Rossi, durante una conferenza stampa in cui sono stati illustrati i dettagli della vasta operazione "Messa a Fuoco" contro lo spaccio di droga gestito dall'interno del carcere.

Secondo Rossi, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) e il Ministero della Giustizia devono intervenire con misure più incisive per arginare un fenomeno che sta assumendo proporzioni allarmanti. "Non si tratta più di piccoli telefonini nascosti con espedienti rudimentali, ma di veri e propri smartphone utilizzati senza difficoltà dai detenuti", ha sottolineato il procuratore. "I cittadini non chiedono riforme della magistratura, ma azioni concrete contro la criminalità organizzata. Eppure, oggi, il Dap non ha un punto di riferimento chiaro per affrontare questa emergenza".

Cellulari come simbolo di potere criminale

Anche il procuratore aggiunto e coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Bari, Francesco Giannella, ha evidenziato come i telefoni in carcere non servano solo per gestire attività illecite, ma siano diventati strumenti di affermazione del potere mafioso. "I detenuti li usano non solo per comunicare, ma anche per girare video e diffonderli sui social, dimostrando il proprio carisma criminale e lanciando messaggi di sfida", ha spiegato Giannella.

L’inchiesta: il narcotraffico dietro le sbarre

L'indagine della Dda di Bari ha portato all’arresto di 37 persone, smantellando due gruppi che si contendevano il mercato della droga a Turi. Il primo faceva capo a Davide Monti, esponente del clan Strisciuglio, detenuto nel carcere di Trapani. L'altro era guidato da Michele Parisi, fratello del boss 'Savinuccio', agli arresti domiciliari per motivi di salute.

Gli arrestati si dividono tra 15 in carcere, 16 ai domiciliari e 6 sottoposti all’obbligo di dimora. Gli indagati, in totale 52, comprendono anche cittadini stranieri provenienti da Cuba, Colombia, Marocco, Bulgaria e Albania.

L'inchiesta è nata quasi per caso, ha spiegato Giannella, dopo una serie di incendi dolosi di auto a Turi nell’ottobre 2021, che hanno insospettito i carabinieri. Gli investigatori hanno poi scoperto che dietro quegli episodi si nascondeva una strategia intimidatoria del clan Strisciuglio per costringere il gruppo rivale a lasciare il territorio.

Il bed & breakfast trasformato in centrale dello spaccio

Un ruolo chiave nell'organizzazione era ricoperto da Francesco Giordano, titolare di un b&b a Conversano, trasformato in un vero e proprio centro logistico per la droga. Secondo le indagini, nella struttura venivano nascosti e confezionati ingenti quantitativi di cocaina, hashish e marijuana, destinati al mercato locale.

"Era una base blindata e protetta, che i carabinieri sono riusciti a intercettare solo grazie a un lavoro minuzioso e a sofisticate tecniche di sorveglianza", ha rivelato la pm Silvia Curione, che ha coordinato l’indagine.

L’operazione dimostra ancora una volta come la criminalità organizzata sia capace di infiltrarsi nel sistema penitenziario e gestire traffici illeciti con strumenti sempre più sofisticati. Ora, spetta alle istituzioni trovare risposte adeguate per contrastare questo fenomeno.

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