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Il siderurgico
14 Settembre 2024 - 10:33
L'interesse è di quelli "pesanti". Perché a muoversi è un top player, un attore di primissima grandezza della siderurgica mondiale. Il gigante giapponese Nippon Steel punta all'ex Ilva. La notizia, riportata da Il Sole 24Ore, ha iniziato a circolare in occasione del Forum Ambrosetti.
Per il giornale di Confindustria ci sarebbero stati in quell'occasione già contatti tra il Ministero delle Imprese e Made in Italy e l'Ambasciata giapponese in Italia. La forza economica di Nippon Steel potrebbe cambiare lo scenario attuale della corsa al controllo di Acciaierie d'Italia e degli impianti di Taranto. Quanto riportato dal Sole è rimbalzato anche sui media internazionali. Nei giorni scorsi, Affaritaliani.it aveva parlato degli indiani di Vulcan come favoriti nella complessa partita Ilva.
La notizia è stata ripresa dal sito Open che riporta come "Nippon Steel è entrata nella rosa dei potenziali acquirenti solo recentemente, anche in seguito a un possibile accantonamento dell’acquisizione di U.S. Steel negli Stati Uniti, un’operazione da circa 15 miliardi di dollari che ha trovato forte opposizione politica. Al momento, altri candidati includono gli italiani Marcegaglia e Arvedi, l’ucraina Metinvest, due gruppi indiani (Vulcan Green Steel e Steel Mont), e la canadese Stelco".
Negli anni ’80, ultimo scorcio dell'epoca Italsider, il manager Hayao Nakamura, numero uno di Nippon Steel, fu chiamato a dirigere le Partecipazioni Statali e a rimettere ordine nello stabilimento tarantino nel tentativo di portare in efficienza la più grande acciaieria d’Europa. In un volume pubblicato anni più tardi (Il paese del sol calante, Sperling & Kupfer, 1993), Nakamura racconta la sua esperienza tra i Due Mari. E dice: «Nell’industria al crescere delle dimensioni i problemi si moltiplicano in maniera esponenziale e c’è un limite oltre il quale la sfida diviene un suicidio». Il manager giapponese contestava il raddoppio dello stabilimento; secondo Nakamura, per essere competitivo il IV Centro siderurgico italiano avrebbe dovuto «ridurre la manodopera di 5.000 persone».
Parole che, rilette oggi, fanno venire un brivido sulla schiena.
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