“Annunciare Gesù con le parabole” è il titolo dell’ultimo lavoro editoriale di mons. Alessandro Greco, vicario generale dell’arcidiocesi e già docente e direttore dell’istituto di scienze religiose “Romano Guardini”, che intende offrire al lettore, come recita il sottotitolo “Piste di cristologia biblica, riflessioni per la vita cristiana”. Il libro (EdizioniVivere, pp. 550, euro 20) è uscito nelle scorse settimane, in occasione del cinquantesimo di sacerdozio, anniversario festeggiato assieme all’arcivescovo mons. Filippo Santoro, all’arcivescovo di Potenzia mons. Salvatore Ligorio, a mons. Tonino Caforio. Con loro avrebbe dovuto esserci anche on Ciro Antonacci, recentemente scomparso. L’autore premette che il fatto che per mettere in evidenza l’efficacia dell’evangelizzazione oggi ci sia un frequente ricorso ai mezzi multimediali, non vuol dire che i metodi semplici, popolari e immediati abbiano perso la loro funzione perciò vadano banditi dalla pastorale. Tutt’altro! L’esempio viene proprio da Nostro Signore che di frequente comunicava la verità con mezzi molto semplici, comprensibili al popolo, appunto le parabole, evidenziando, pur nella estrema debolezza di questo metodo, la forza del Suo pensiero. Le parabole sono dunque un mezzo privilegiato per trasmettere verità altissime che diventano dunque oggetto dell’evangelizzazione sui seguenti temi: il Regno, la paternità di Dio, la misericordia, il mistero di Cristo, la Parola, la vigilanza, la carità, la preghiera e l’umiltà. Dunque, non sono brani da commentare velocemente per indugiare in discorsi, a volte artificiosi, che presentano pensieri peregrini e privi di sostanza biblicoteologica. Il motivo per il quale Gesù parlava spesso in parabole, spiega l’autore, è una delle curiosità cui molti hanno cercato risposte. La parabola, viene specificato nel testo di mons. Greco, è un racconto, cioè indica la descrizione di un fatto avvenuto una volta o che si ripete; è immaginario ma anche verosimile, cioè potrebbe accadere. Gesù non solo se ne fa narratore, ma ne è anche interprete, come nel caso della parabola del seminatore (Mt 13, 18-23) o della zizzania (Mt 13, 36-43) I Vangeli riferiscono che Gesù usava questo metodo per esporre, in maniera più esplicita, la dottrina, e far comprendere la sua identità, vero Dio e vero uomo. Egli ammoniva quanti lo ascoltavano, rivolgendosi anche agli uomini d’oggi, quanto fosse necessario, per comprendere appieno l’insegnamento, porsi in atteggiamento di docilità, povertà interiore e umiltà. Proprio come i più piccoli, evidenziava Nostro Signore“Se non diventerete come questi bambini non entrerete nel Regno dei Cieli” ((Matteo 18,1-5.10.12-14). Dunque non è Dio che fa preferenze di persone, ma sono gli uomini a rifiutarlo o a non decidersi per il Regno. Infatti l’accoglienza della Sua Parola richiede impegno e risposta libera: di conseguenza si discrimina da solo chi rifiuta il Signore e non lo riconosce presente e operante. E questo non vale solo per i lontani, ma anche per gli stessi discepoli quando il loro cuore si rende indurito. Dunque, il parlare in parabole è un modo velato e anche usuale di comunicare la verità, che (viene ribadito) esige sincerità e rettitudine in chi l’accoglie, senza alcuna strumentalizzazione, di solito adoperata per tirarsi astutamente fuori dai guai per la volontà di non aderire con fede agli insegnamenti. Oltre che per i contenuti, conclude mons. Greco, le parabole indicano anche un metodo per evangelizzare, che parte dall’osservazione della realtà, dai bisogni dell’uomo, dalle situazioni concrete. Proprio come fa Gesù, che usa un linguaggio semplice, chiaro, accessibile, così che la sua Parola, una volta accolta, possa incidere in chi, liberamente, apre il cuore all’ascolto.
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