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CONTROVERSO
27 Maggio 2025 - 06:00
"Poesia del Giorno" è un'estensione della rubrica settimanale "controVerso" dedicata alla poesia. Nasce per dare spazio alla vostra fantasia e ai vostri versi ispirati dalla quotidianità o dai vostri stati d'animo. Si è quindi deciso di pubblicare, in questo appuntamento giornaliero, le più belle poesie che vorrete inviare.
Chi fosse interessato a vedere un proprio componimento poetico pubblicato nella apposita sezione sul sito web Buonasera24.it e sui canali social della testata, dovrà:
Ogni giorno alle ore 9.00 una poesia, tra quelle più significative, sarà scelta, pubblicata e recensita, esclusivamente online, in questa rubrica.
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La Poesia del Giorno, di martedì 27 maggio 2025, è:
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di ANNA RITA MERICO di Poggiardo (LE)
Scrivevamo con la voce tramandandoci suoni che
narravano le antiche presenze
Scrivevamo con la voce lasciandoci risuonare nel petto il
battito di un tamburo
Scrivevamo con la voce donandoci sguardi acuti come
sibili di gelidi venti
Scrivevamo con la voce modulata dalle sabbie di dune che
si spostavano lente come semi della Terra
Scrivevamo con la voce scrutando i lapislazzuli dei manti stellati
Tra noi alcune possedevano il dono fondo della voce
Tra noi alcuni possedevano il dono fondo della memoria
Poi
le parole presero ad impastarsi sulle pietre
attonite le guardammo
increduli le scrutammo
ne percepimmo i graffi
Qualcosa s’era staccato da dentro
osservammo quel nudo imbozzolarsi
la sabbia prese a scivolarci tra le dita misurando un altrove
verso cui il lento scavava
Verso sera le pietre erano lì allineate all’orizzonte d’una
piega del palato
Le mani si mostrarono Nuovi gesti forgiarono infuocati il dire
Ne prendemmo grani
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Recensione
In questa composizione, l’oralità si fa materia ancestrale, corpo vivente di una memoria collettiva che attraversa tempo e spazio. La voce, non semplice strumento ma sostanza primaria, diventa l’origine di un linguaggio che precede la scrittura: un codice vibrante fatto di suoni, sguardi, battiti e silenzi custoditi tra dune, stelle e tamburi.
La poesia di Anna Rita Merico si muove come un canto arcaico che affiora da una terra interiore, tra il palpito del tamburo e lo scintillio di lapislazzuli sospesi nel cielo. C’è una coralità iniziale che affratella chi porta in sé il dono della voce e chi quello della memoria, come se la trasmissione del sapere fosse inscritta in un equilibrio antico e condiviso.
Poi, l’evento di frattura: le parole si spezzano, si impastano con la pietra, si fanno corpo estraneo. L’incanto si incrina e qualcosa si perde. La scena si svuota, ma non si arrende. L’altrove, misurato da sabbia che scivola, apre una nuova possibilità di senso.
Nel finale, i gesti si rinnovano, si accendono, e il dire torna a plasmarsi come atto creatore. Raccogliere grani non è più solo un gesto agricolo o rituale, ma un recupero di senso, un’azione fondativa. La scrittura qui non si limita a ricordare, ma riattiva un’origine, un punto di contatto tra la voce e la materia, tra la parola che nasce e il mondo che la riceve. È un invito a restare in ascolto del non detto, delle fenditure che custodiscono la possibilità del nuovo.
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