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CONTROVERSO

Poesia del Giorno

"Non ci resta che il pomeriggio di petali" di Francesco Mola

Poesia del Giorno

"Poesia del Giorno" è un'estensione della rubrica settimanale "controVerso" dedicata alla poesia. Nasce per dare spazio alla vostra fantasia e ai vostri versi ispirati dalla quotidianità o dai vostri stati d'animo. Si è quindi deciso di pubblicare, in questo appuntamento giornaliero, le più belle poesie che vorrete inviare.

Chi fosse interessato a vedere un proprio componimento poetico pubblicato nella apposita sezione sul sito web Buonasera24.it e sui canali social della testata, dovrà:

  1. Seguire le pagine dei profili social di Buonasera: su Facebook e Instagram;
  2. Inviare una mail a controverso2019@gmail.com con il proprio nome, cognome, luogo di residenza e dichiarando nel testo della mail la paternità dell'opera. La poesia non dovrà superare i 30 versi.

Ogni giorno alle ore 9.00 una poesia, tra quelle più significative, sarà scelta, pubblicata e recensita, esclusivamente online, in questa rubrica. 

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La Poesia del Giorno, di lunedì 26 maggio 2025, è:

    NON CI RESTA CHE IL POMERIGGIO DI PETALI

    di FRANCESCO MOLA di Lecce 

    Non ci resta che il pomeriggio di petali
    col fruscio del ciliegio sulla sponda
    che si spoglia,
    ci lascia nudi e ci scaglia
    in anonime geometrie concentriche.
    La traversata
    che separa le acque
    e spezza i sigilli di zolfo,
    lo stagno,
    dove convergono i corpi
    e s’incendiano i volti
    così da anticipare la consistenza della cenere
    nel buio che ci attende
    oltre l’estinzione radiale.
    Sai bene che dai noviluni iridescenti non se ne esce:
    oh quale inganno l’oscenità della notte,
    l’oscurità...
    Siamo bravi a riprodurre sculture acquifere
    saltando fuori come rane,
    dai ritagli di tempo,
    bagnati.
    La fierezza della carpa,
    destinata al sacrificio
    che rimane immobile,
    in attesa della fine come un vero samurai.
    L’anguilla nascosta nel fango
    è una specie catàdroma
    e non sai di che si nutre.
    Mi chiedi della livrea dei pesci azzurri,
    del cavédano, del luccio
    e di specie di invertebrati.
    Mi implori di liberare la carpa
    infilzata con l’ombra delle tue natiche
    tra i petali d’oro.

       

    Recensione

    Si percepisce un'atmosfera fluida e a tratti inquietante in questi versi, in cui ove i confini tra natura e corpo umano sembrano sciogliersi, dando vita a un paesaggio interiore che è al contempo concreto e stranamente allucinato. Francesco Mola sembra giocare con il tempo, rendendolo instabile: un pomeriggio qualsiasi si trasforma in una dimensione sospesa, quasi ipnotica, mossa dal fruscio di un ciliegio che perde i suoi petali, lasciando i protagonisti come in balia di forze che li superano.

    C'è qualcosa di rituale in questo abbandono, in cui ogni elemento – lo stagno, le acque, le creature che le abitano – concorre a creare una sorta di teatro dell'inconoscibile, segnato da ombre, oscurità e un senso di sacrificio latente. Il linguaggio è intenso, visionario, e si muove con naturalezza tra sogno e realtà fisica, come se il paesaggio interiore stesso venisse spinto oltre i suoi limiti, fino a rischiare la dissoluzione.


    L'acqua, in tutte le sue forme, è un elemento centrale nel testo: diventa via di passaggio, rifugio, specchio di deformazioni. Le immagini si accumulano come i livelli di un sogno che turba, in cui la carpa, maestosa e immobile, appare come una figura tragica e dignitosa, mentre l'anguilla che si muove nel fango resta un enigma. Ogni creatura sembra portare con sé un destino, una domanda senza risposta. Più che costruire una storia lineare, la poesia crea una sequenza di visioni, in cui ciò che sembra frammentario acquista una sua coerenza emotiva, anche quando il significato preciso ci sfugge.


    Verso la fine, la tensione lirica si fa quasi sacrificale: l'immagine della carpa infilzata, sovrapposta all'ombra del corpo dell'altra, diventa simbolo di un gesto estremo e ambiguo, che è sia violenza che offerta, vicinanza e distanza inestricabilmente legate. È una poesia che non si offre a facili interpretazioni, ma che chiede di essere vissuta; in cui la bellezza non rassicura, ma scuote, lasciando in chi legge un senso di disorientamento, e forse, di profondo rispetto. E forse è proprio in questa tensione tra ciò che vediamo e ciò che sentiamo che risiede la vera potenza del testo: nella sua capacità di inchiodarci, come la carpa, di fronte al mistero della nostra stessa fine.

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    • bmarfe

      26 Maggio 2025 - 13:48

      "Non ci resta che il pomeriggio di petali" evoca immagini sorprendentemente contrastanti. Inizia con una malinconica rassegnazione ("pomeriggio di petali", "ciliegio che si spoglia") che porta a una sensazione di vulnerabilità e perdita ("nudi", "buio che ci attende"). Poi, improvvisamente, compaiono creature acquatiche: rane, carpe, anguille, pesci azzurri. Queste creature, da un lato simboleggia

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