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INTROSPETTIVO
03 Dicembre 2025 - 06:01
Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.
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Il cartello sbiadito, fissato con un chiodo arrugginito al cancello di ferro, portava con sé una verità malinconica: «Vendesi». Le lettere, un tempo di un rosso acceso, ora apparivano come un’eco sfumata, simile alla melodia lontana di una vecchia canzone.
«L’erba è alta ormai, lo so
e dovrei potare il melo.»
Ugo si fermò, il motore dell’auto acceso al minimo, un groviglio di emozioni che gli attanagliava la gola. Tornava dopo anni, richiamato da una telefonata impersonale dell’agenzia immobiliare. Qualcuno era interessato. Qualcuno desiderava mettere radici nel suo passato.
Spinse il cancello che cigolava, un lamento metallico che infranse il silenzio di un giardino invaso dalle erbacce. L’aria umida, intrisa del profumo di terra e foglie in decomposizione, lo accolse con un abbraccio gelido.
La casa era lì, immobile e austera, con le finestre cieche come occhi che non vedevano più nulla. Con un sospiro rassegnato, tirò fuori le chiavi arrugginite e aprì il portone. Un’ondata d’aria stantia, carica dell’odore di legno antico e di oblio, lo colpì. E poi la vide: la polvere.
«Quanta polvere c’è,
dentro casa è tutto un velo.»
Un manto grigio e uniforme avvolgeva tutto. Si posava pigra sui mobili dimenticati, immobili come spettri di un tempo passato, sui ritratti sbiaditi che ancora adornavano le pareti scrostate, sui piccoli oggetti senza storia rinchiusi nelle vetrine opache.
Ogni granello sembrava un frammento di tempo cristallizzato, un sussurro silenzioso di voci dimenticate. Ugo si muoveva con cautela, tracciando con un dito una scia pulita nel velo di polvere del tavolino del salotto. Sotto, riemerse per un attimo il caldo colore del legno, un bagliore fugace di un’epoca spensierata.
Qui sua madre gli leggeva storie senza fine, la sua voce melodiosa si intrecciava al crepitio rassicurante del fuoco nel camino. Lì suo padre curava con meticolosa attenzione i suoi amati vinili e, spesso, molto spesso, le note inconfondibili di «Vendo casa» riempivano l’aria, una colonna sonora discreta della loro vita.
Salì le scale di legno scricchiolanti, il ritmo irregolare dei suoi passi l’unica musica in quella sinfonia di silenzio. Ogni stanza era un santuario polveroso di ricordi sopiti: la sua vecchia camera, con le tracce sbiadite di poster adolescenziali ancora visibili sulla carta da parati ingiallita; lo studio di suo padre, dove la scrivania era ancora sommersa da libri impolverati e appunti manoscritti; la cucina, dove il profumo avvolgente della torta di mele di sua madre sembrava ancora aleggiare, intrappolato tra le ragnatele.
In ogni angolo, la polvere si accumulava con una lentezza inesorabile, una metafora tangibile del tempo che aveva trasformato quella casa vibrante in un involucro malinconico. Quanta polvere c’era… non solo sui mobili, ma anche nei suoi occhi, velati da una tristezza sottile e persistente.
Si avvicinò alla finestra del salotto, lo sguardo perso nel giardino selvaggio. Il vecchio melo, testimone muto del suo primo bacio con Anna, era ancora lì, i rami contorti protesi verso il cielo come dita scheletriche. Anche i suoi ricordi sembravano velati di polvere, sbiaditi e lontani come le parole di una canzone dimenticata.
Mentre l’attesa dell’arrivo del potenziale acquirente si faceva più intensa, Ugo si rese conto che non stava semplicemente vendendo una proprietà. Stava mettendo in vendita un capitolo della sua vita, un album di fotografie sbiadite, un’eco lontana di risate e silenzi.
E tutta quella polvere non era solo sporcizia, ma la traccia tangibile di un’esistenza, un palinsesto di emozioni incise nel tempo. Quando il suono del campanello ruppe il silenzio, Ugo si passò una mano stanca sul viso, come a voler rimuovere la polvere dei ricordi che gli appesantiva l’anima.
Sapeva che quella casa avrebbe accolto nuove storie, nuove voci avrebbero riempito le stanze un tempo familiari. Ma sperava, in un angolo recondito del suo cuore, che anche un granello di quella vecchia polvere, intrisa di passato, sarebbe rimasto lì, a sussurrare al vento le note malinconiche della canzone dei Dik Dik.
«Un panino, una birra e poi
la tua bocca da baciare,
e la fiamma si alza ancora dentro me.
Questa casa è tutta da bruciare.»

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Testata: Buonasera
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