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DRAMMATICO

L'ultimo caffe

di Carmelo Loddo da Mantova

Bovindo

Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.


L'ultimo caffé

di Carmelo Loddo

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Quella sera il caffè alla fine lo sorbì da solo. Sara aveva strappato quel biglietto che lui le aveva fatto avere. Appena lo aveva visto non aveva avuto dubbi, era lui! Era bastato uno sguardo per capire, per comprendere chi si celava dietro un paio di lenti da sole e la folta barba. Ma come ci era arrivata lì, quel giorno, davanti a quell’uomo?
Tre giorni prima Sara aveva ricevuto una strana telefonata da un uomo, dal chiaro accento veneto, che l’aveva sconvolta e dal quale aveva ricevuto una notizia inaspettata. Suo marito o, per meglio dire, Giacomo, il suo defunto marito, era vivo.
Subito i ricordi di quei tragici momenti tornarono alla mente, come un turbine l’avviluppò la storia di quei giorni, la avvolse costringendola a ripercorrere quanto accaduto. Giacomo e il suo piccolo aereo Cessna precipitato quella sera di un maledetto giorno di dicembre durante una tempesta di neve mentre tentava di andare in Austria per affari o almeno così aveva detto la sera prima.
La prima sorpresa lasciò subito spazio a mille domande che affollavano la mente, ma che avrebbero trovato risposta solo accettando di andare a quell’appuntamento. Ma più il tempo passava, più le domande si facevano inquietanti. Perché non presentarsi a casa direttamente? In fondo era ancora casa sua. Ma cosa era successo realmente? Avrà forse perso la memoria e magari l’ha recuperata soltanto adesso?
Il mistero si infittiva e le sensazioni che provava erano una via di mezzo tra la felicità di aver ritrovato forse l’amore che considerava perduto e l’incredulità.
Senza pensarci più del dovuto accettò quell’invito. Quel giorno, era un venerdì di giugno, un venerdì come tanti – il giorno in cui la gente inizia a sentire il sollievo del fine settimana che si avvicina – lei si presentò puntuale all’appuntamento, anzi arrivò cinque minuti prima per scrutare, osservare da lontano, per capire se davvero quell’uomo era Giacomo, non riusciva ancora a crederci. Lui era già lì – seduto al tavolo esterno – di fronte alla piazza in cui termina il corso principale della città. Lo osservava fumare il sigaro, il suo solito sigaro pensò, tra sé e sé, e controllare nervosamente l’orologio, ogni trenta secondi. Era lo stesso atteggiamento che aveva il “suo” Giacomo quando aveva un appuntamento importante. Li ricordava tutti i suoi piccoli gesti, le sue manie, i suoi tic, erano ben rappresentati in quell’uomo palesemente nervoso, seduto al tavolino del bar.
Aveva ancora qualche piccolo dubbio a causa della barba folta, di un cappello a larghe falde e di un paio di occhiali da sole che occultavano i lineamenti del viso, ma i gesti erano indiscutibilmente i suoi.
Sara fece un gran respiro e iniziò a camminare verso di lui con passi sempre più decisi e veloci, poi – giunta a poca distanza – iniziò a rallentare, i passi sempre più incerti, le mani tremavano, il fiato sempre più corto, le palpitazioni in aumento e nel mentre si aspettava uno slancio da parte sua: un abbraccio, un bacio anche timido, un gesto di affetto, una lacrima.
Giacomo, appena la vide, si alzò andandole incontro senza mostrare particolari emozioni, ma fu gentile, una gentilezza quasi da estraneo pensò lei, o al più da collega di ufficio. Lui spostò l’altra sedia e la fece accomodare con garbo. Lei continuò a guardarlo fisso negli occhi, a cercare il suo Giacomo o ciò che ne era rimasto.
Intanto le domande si facevano sempre più numerose e i dubbi si rafforzavano, c’era qualcosa che le sfuggiva.
Si salutarono con un ciao imbarazzato, lei non fece scenate, non aggredì quell’uomo che era scomparso tanti anni fa e che aveva pianto come morto. Lo salutò nascondendo le sue emozioni. Attese che iniziasse lui a parlare, a spiegarsi, senza dire altro: sarebbe bastato il suo sguardo, il suo Giacomo lo avrebbe capito.
Egli iniziò a parlare, senza usare troppi giri di parole, senza troppi convenevoli, lasciando spazio alla solita banale frase: “sei bellissima come dieci anni fa”. Si tolse gli occhiali e il cappello, spense il sigaro e accennò a un timido sorriso. Sì, era proprio lui, e quella voglia di fragola sotto la tempia sinistra non lasciava alcun dubbio.
Lei con gli occhi lucidi esclamò: «Sì, sei proprio tu!»
Ne seguì una breve pausa di silenzio pieno di significato, ma gli occhi di entrambi scrutavano ogni minimo particolare. Poi, ripresasi dall’emozione, iniziò a chiedersi del perché dei suoi silenzi, di cosa fosse successo. Lui intuì facilmente il suo pensiero e anticipò la domanda.
«Sì, so già cosa vuoi chiedermi: che fine ho fatto, cosa è successo, perché tutti questi silenzi, perché ti ho fatto credere di essere morto. Non voglio mentirti ancora e non voglio edulcorare la verità. Quel giorno, quel maledetto giorno di dicembre, antivigilia di Natale; la mattina, ero appena arrivato nel mio ufficio presso la mia azienda, ero in grande difficoltà, difficoltà economiche e, nei mesi precedenti, avevo fatto un ulteriore errore: avevo chiesto un prestito a una persona che ritenevo amica per superare un problema finanziario causato da un investimento sbagliato.
Invece questo amico si era rivelato non essere tale. Si palesò, gettando la maschera, per quello che era: un delinquente! Era molto vicino a dei boss della mala locale e aveva iniziato a chiedermi la restituzione di quanto prestatomi, ma con interessi enormi che non potevo assolutamente pagare. A quel punto aveva iniziato a minacciarmi, a dirmi che mi avrebbe preso tutto, a minacciare te e tutte le persone con cui avevo dei legami, che mi avrebbe mandato degli uomini dall’Est Europa a cercarmi, i quali, con i loro metodi, mi avrebbero certamente convinto a pagare.
Allora quel giorno, quella mattina, preso dalla disperazione, dal terrore, ma soprattutto dalla paura che potessero farti del male, ho deciso di mettere in scena la mia morte. Sono andato presso l’aeroclub, ho preso il mio piccolo aeroplano e, giunto in un posto che avevo già prestabilito, ho spento il navigatore e ho inscenato l’incidente. Sono atterrato in una piccola strada di un altopiano, lontano da occhi indiscreti, il maltempo mi ha agevolato e a volte ho rischiato davvero di precipitare.
Naturalmente, prima di fare questo, grazie a un mio amico avvocato, ero riuscito a vendere gran parte di ciò che possedevo e di cui tu non eri a conoscenza; a lui ho dato l’incarico di venirti a trovare per darti quell’assegno che ti avrebbe aiutato molto nel ricostruirti una vita, e quel consiglio datoti dall’avvocato di non accettare l’eredità era stato pensato per evitarti guai finanziari. Ero sicuro che i soldi ti sarebbero bastati per ricominciare.»
Lei lo interruppe chiedendogli perché non si fosse confidato, perché l’aveva lasciata vivere nell’angoscia in tutto questo tempo: «Tutte queste lacrime versate, tutti i dolori che hanno scavato la mia pelle, il mio viso, i miei occhi… non hai pensato a quanto dolore ho sopportato?»
«Sì, e ti chiedo perdono mille volte, avevo troppa paura di metterti in pericolo. Sono riuscito a ricostruirmi una identità nuova, un altro nome, un’altra vita, ma non potevo più stare in silenzio perché una parte del mio cuore è sempre tua. Avevo bisogno di rivederti, di raccontarti la verità, di alleggerire la tua pena e di ricominciare se me lo permetterai.»
Lei lo interruppe con un gesto della mano, sorrise dolcemente e, subito dopo, iniziò a parlare: «La mia pena? Vorrai dire la tua coscienza!»
«Sì, capisco che può sembrare così, ma devi credermi: ero davvero preoccupato per la tua vita, per la nostra.»
«No – riprese Sara – no, basta…» seguì una breve pausa di silenzio… poi riprese con tono fermo e deciso: «Caro signore, io non capisco perché lei mi stia raccontando tutto questo. Io non la conosco. Conoscevo un uomo tanti anni fa, un bell’uomo, dai modi gentili, sempre misurato, sempre premuroso, sempre sincero o almeno così credevo. Quell’uomo, purtroppo, è morto dieci anni fa in un tragico incidente aereo. Per lui ho pianto per tanti giorni e poi – non avendo avuto neanche un posto dove portare dei fiori – l’ho sepolto per sempre tra i miei ricordi più cari dove ogni tanto affiorava, a volte con malinconia, altre volte tirandomi fuori un sorriso. Adesso la devo salutare, mio figlio che è nato dieci anni fa e che purtroppo non ha avuto la fortuna di conoscere suo padre, mi sta aspettando. La saluto e le auguro una felice vita, la sua.»
Lei si alzò, strappò quel biglietto che le era stato consegnato tre giorni prima da uno sconosciuto e, con grande freddezza e lucidità, si voltò dall’altra parte allontanandosi con passo sempre più veloce senza voltarsi indietro.
Giacomo restò in silenzio, senza parole, la guardò scomparire tra la folla finché la sua figura svanì completamente.
Poi bevve quel caffè che aveva ordinato nella consapevolezza che una parte di lui era davvero morta dieci anni prima e di avere perduto più di quanto avesse creduto fino a quel momento.
Finì di sorbire la bevanda, unica tazzina presente sul tavolino, diede un ultimo triste sguardo a quel biglietto strappato e deposto sul posacenere, entrambi testimoni involontari di un incontro che non era andato come avrebbe desiderato, e si avviò a passi lenti verso l’argine del fiume dove compì il suo ultimo volo, l’ultimo decollo, davanti a una tazzina di caffè vuota e a un biglietto senza speranza.

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