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PSICOLOGICO
23 Ottobre 2025 - 06:01
Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.
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Dentro di me c’è una silfide. Ne sono sicura, me lo ripeto da anni ogni mattina scendendo dalla bilancia. Mi sento come se avessi in me due donne: una grassa, di quasi novanta chili, e una magra, di al massimo cinquanta. Una sommersa dentro l’altra.
A volte rifletto che dovrei darle la possibilità di emergere, ma poi mi domando a quale scopo. Non sono triste per il mio aspetto, sono sempre allegra, “di umore colorato”, dice un’amica, la più cara che ho. E lei sì che sarebbe da odiare: a quarant’anni e dopo un parto gemellare, indossa ancora la taglia quarantadue.
Ho iniziato a ingrassare dopo il matrimonio, no, per essere sincera, già in viaggio di nozze. Ricordo che ero stata a dieta fino al fatidico giorno per entrare nel meraviglioso, attillato abito bianco di cui mi ero innamorata a prima vista. In albergo, Aldo, mio marito, pregustava la prima notte di nozze – per noi era davvero la prima volta – io, invece, pregustavo la torta al cioccolato che avevo notato sul buffet.
Resisto a tutto, tranne che al mio desiderio quotidiano di zuccheri.
Mi vesto in fretta e scappo. Siamo in vacanza in un grazioso paesino in riva al mare. L’aria è mite, non fa troppo caldo alle otto di mattina. Dovrei rilassarmi, spaparanzarmi in spiaggia con un buon libro e godermi il sole; tuttavia, mi piace essere sempre attiva, perciò mi dedico a ciò che non riesco a fare durante l’anno lavorativo, come cucinare un pranzo speciale.
Proprio per questo sto andando a fare una spesa esagerata. Nel supermercato giro con il carrello e lo riempio di sciocchezze: crema al cioccolato, marmellata, torte confezionate. Poi passo alla lista che avevo preparato.
Vado alla cassa con il carrello stracolmo e mi sistemo in fila. È lunga: devo aspettare che sbrighino una dozzina di persone. Mi guardo intorno per ingannare il tempo, nonostante il rischio di cedere a qualche altra tentazione, e mi accorgo di uno strano tipo che gironzola. So che non è educazione fissare la gente, ma lui mi incuriosisce. Ha un giubbotto di pelle – a giugno – e l’aria svagata.
Mi viene in mente che potrebbe essere un drogato, e mi vergogno subito. Basta che uno sia un po’ fuori dall’ordinario perché lo si accusi di avere dei problemi. Solo che, purtroppo, non mi sono sbagliata: il tizio si avvicina rapidamente alla cassiera della mia fila e le intima di consegnargli tutto quello che ha. Lei lo guarda allibita, si immobilizza, perciò l’afferra da un braccio e le grida di svegliarsi.
Ho paura, e mi domando che fine abbia fatto la guardia che, in genere, gira per i market. Il rapinatore è giovane, avrà vent’anni, e non si capisce se sia armato o no. Tiene una mano in tasca e minaccia la poveretta che gli è capitata davanti. I suoi colleghi e noi clienti facciamo da spettatori.
La cassiera preleva un mazzetto di euro e glielo porge. Lui lo fa sparire e si avvia all’uscita. Tiro un sospiro di sollievo: pericolo scampato. Qualcuno, però, ha chiamato la polizia, e il ragazzo rientra di corsa. Ricomincia il terrore.
E il peggio deve ancora venire. Si accorge di me – è difficile non notarmi – e decide che, con la mia mole, sono un ottimo ostaggio. Mi tira per il vestito e mi usa come scudo. Mi mette un braccio intorno al collo e dice che me lo romperà se non fanno ciò che vuole.
È arrivata la guardia, è in posizione con la pistola spianata, ma non può agire e rischiare la mia vita e quella degli altri.
«Stai buona, brutta cicciona», mi sussurra il delinquente all’orecchio.
Scalpito: non permetto che nessuno mi insulti, in alcun frangente. Cerco di girarmi e lo guardo con rimprovero. Si agita, mi libera un po’ dalla stretta e, per spregio, inizia a prendere la roba dal mio carrello e a gettarla per terra.
Che spreco, penso, arrabbiandomi. Il colmo lo raggiunge quando afferra il mio cibo preferito – la crema al cioccolato – e lo lancia verso uno scaffale. Il barattolo rimbalza, cade sul pavimento e si infrange in grossi pezzi. Mi piange il cuore ad assistere alla fine spietata della mia dose quotidiana di gioia.
Divento una belva e mi rendo conto che, in confronto al mio peso e alla mia altezza, il moccioso sparisce. Mi muovo di scatto e lo spingo: perde l’equilibrio e si aggrappa a un banco per non scivolare. Devono togliermelo di sotto per ammanettarlo. Era disarmato, ma un poliziotto, mentre si congratula con me per la temerarietà, mi rimprovera per l’incoscienza.
Non me la sono sentita di confessargli che è stata tutta colpa – o merito – del mio desiderio smodato di cioccolato.
Rientro nel villino che abbiamo affittato, fiera come un pavone. La silfide rimarrà nascosta molto, molto a lungo. Forse per sempre. Gongolando, in pace con me stessa, mi metto ai fornelli e mi cimento nella creazione di un dolce.
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