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LINGUA LATINA
26 Gennaio 2025 - 15:04
Non possiamo considerare, infatti, fuori dal tempo nemmeno una goccia della sua saggezza, della sua raffinatezza e del suo pensiero
“Ille te mecum locus et beatae / postulant arces: ibi tu calentem / debita sparges lacrima favillam / vatis amici”.
(Horatius, Carmen II, 6. A Settimio presso il Galeso di Taranto)
“(…)Ubi pinguia culta Galaesus alluit / et parvo haud inglorius alveo”.
(T. N. D’Aquino Deliciae Tarentinae, I, 3-4)
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Caro direttore, il ministro Valditara, che è ordinario di Diritto Romano, ha annunciato che il prossimo anno scolastico avrà finalmente la sua riforma scolastica nella quale la lingua latina, per anni ed anni messa da parte in maniera vergognosa, avrà il suo posto giusto ed eletto tra le discipline di studio.
È una felice, per me e non soltanto per me, notizia e i romani segnavano quel momento sereno e felice con una frase che non è dimenticata: “Dies albo lapillo signanda” (una giornata da ricordare con una bianca pietra).
Mettiamo fine ad una angusta politica scolastica, una politica che negando dalle prime classi di scuola media la lingua latina negava al tempo stesso l’origine e la forza, attraverso Virgilio, Orazio ed Augusto una lingua che, con Dante, sarebbe diventata la lingua italiana, vale a dire la lingua di una nazione futura, o meglio di una patria lontana ma non inestinguibile.
A tal proposito ricordo che nel settembre del 1960 il preside del liceo classico “Archita”, Giovanbattista Massafra, scrisse un articolo sul “Corriere del Giorno” denunciando il male commesso dal ministero con il togliere anche dalle scuole inferiori la lingua latina, il che significava non togliere la cultura del passato ma quella di un passato sempre presente; e togliendolo dalle Medie la disintegrava nelle scuole superiori e nei licei umanistici.
Scriveva Giovanbattista Massafra: “Lo svilimento del latino era un colpo mortale inferto a tutta la civiltà umanistica, nella quale ancora oggi, si articola e vive la civiltà moderna, o delle macchine, perché le riforme non devono mai distruggere le conquiste del passato, ma modernizzarle, renderle sempre più vive ed attuali”.
La decadenza del latino è la decadenza di tutto l’apparato scolastico ed è anche la conseguenza di una decadenza dei costumi e della pubblica moralità.
La scuola italiana è fondamentalmente peggiorata per dequalificazione di studio e per demotivazione di docenti anche se bravi, anzi, ottimi che vanno via dalla scuola, appena possono, quasi con letizia e con meno soddisfazione del loro quotidiano lavoro.
Demotivati i docenti perché mal pagati e soprattutto mal stimati e con loro tutto il personale della scuola a tutti i livelli con contratti di lavoro che sono avvilenti e, soprattutto, dopo anni ed anni di sospirati e mai attuati concorsi.
Certo, la scuola va rifatta con nuovi criteri e nuove metodologie perché mai sia la scuola di un capo o la scuola di un partito, ma quella democraticamente intesa e mai per questo avvilita di una educazione che rafforzi la mente dei giovani e contribuisca al vigore dello spirito sempre più in questo momento storico che vede lo sbandamento di tanti giovani vittime da mali della vita concertati da uomini che non dovrebbero mai essere chiamati per tal nome.
Tenga presente nella sua riforma il ministro di ridare motivazione ai docenti e di creare intorno a loro fiducia e rispetto, soprattutto per un rinnovamento totale o almeno parziale dell’esigenza scolastica.
Nel gennaio del 2013 il chiarissimo professore Luciano Canfora, docente di Filologia Classica presso l’Università di Bari, saggista di valore, un umanista, insomma, dei nostri inquieti e disordinati tempi, scriveva che la mancanza, soprattutto nelle scuole umanistiche, di una vigorosa riforma dei classici latini, era al tempo stesso l’annullamento dell’origine stessa della lingua italiana perché lo stesso Dante, che ne fu l’iniziatore e il creatore, alcune opere le scrisse in latino come il “De Vulgari eloquentia” o il “Monarchia”.
Al tempo stesso il fenomeno della sostituzione della lingua latina fu un decreto fallace dell’amministrazione austro ungarica nei territori italiani all’origine dell’Ottocento.
Ma contro quel decreto si alzarono i migliori letterati ed umanisti tra i quali Vincenzo Monti e, con più vigore, Ugo Foscolo e dopo pochi mesi il decreto fu soppresso e la lingua latina continuò ad offrire agli studiosi e studenti del tempo i tesori della sua immortale civiltà e sapienza, anzi, tutta l’Europa deve, caro direttore, alla lingua latina la sua grandezza imperitura in pensiero ed in opere sulla quale civiltà si innestò quella cristiana.
Anzi non dimentichiamo che nella lingua degli inglesi, chiamati Albioni, ci sono oltre diecimila parole di origine latina e non mancano in Inghilterra, come in Europa, linee architettoniche tipicamente romane e greche.
Anzi, sino ed oltre il Seicento tutti i grandi filosofi e matematici scrivevano in lingua latina e non dimentichiamo anche che la stessa lingua cristiana nasce nel nostro continente dalla lingua latina e lo stesso San Paolo, rivolgendosi ad un tribunale di Roma, gridò “civis romanus ego sum”.
La lingua latina continuerà ad indicarci lo spirito e il senso della nostra esistenza perché non possiamo considerare fuori dal tempo nemmeno una goccia della sua saggezza, della sua raffinatezza e del suo pensiero.
Tutto vero e tutto essenzialmente categoriale perché la saggezza è veramente, anche a distanza di secoli, tutt’ora viva, ascosamente operante in tutti noi a cominciare dai termini patria e nazione, l’uno da pater e l’altra dal verbo nascor, con la dovuta distinzione che la patria è la terra dei padri mentre la nazione è la terra dove si nasce ma dove, molte volte, si muore fuori dalla propria terra.
Quelle due parole furono sostituite per anni dal termine “paese” che nulla dice se non di una piccola contrada di poche case e di non molti alberi.
Ma tale era e forse è il nostro prodotto politico oggi.
In fondo noi anche sappiamo, come italiani, che se parliamo una lingua creata da Dante e ripulita dal Manzoni, quella lingua è una evoluzione del latino di Cesare e di Cicerone.
La nostra formazione mentale e culturale non nasce da una lingua morta ma da una lingua sempre presente, anche nelle nostre comunicazioni quotidiane come quando diciamo “Alea iacta est o este”, “do ut des”, oppure “aura mediocritas”, oppure “audentes fortuna iuvat”. Ma non sono frasi a sé, sono concetti di natura etica e filosofica riportati nella stessa lingua italiana.
Veramente la lingua latina è una lingua immortale e ne siamo i figli di quella lingua.
Anche i pianeti, al di là della terra, hanno nomi latini come Marte, Venere, Giove, Saturno, anche le nostre giornate settimanali conservano il latino.
È per questo che la lingua latina ritorni ad essere tra le lingue dell’Europa una lingua prediletta e per l’Italia la lingua non solo di Dante ma di tutti noi che ancora conserviamo nel nostro nome di italiani quel nome latino di Italo sovrano di quel bruzio che fu primo ad apparire ad Enea ad Acate quando da Troia distrutta apparve un lontano lido: Italiam conclamat Acates et Italiam vidimus conclamant i soci della nave.
L’Italia era lì e la parola eternamente rimase e rimane! “Italiam, Italiam conclamant!”
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