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Natale nel mondo

Natale a New York tra luci e solitudine

La “Grande mela” è la città che più di altre vive e celebra le festività in modo “grandioso”

Luminarie New York

Luci e addobbi natalizi a New York

A New York ci ho lasciato un pezzo di cuore. Chi ha letto altri miei articoli lo sa. Ci ho passato tre anni, e nonostante abbia vissuto più a lungo in altri luoghi del mondo, quei tre anni sono sembrati essere infiniti, densissimi di esperienza, crescita lavorativa e umana, una parte della vita che mi accompagnerà per sempre come una delle più sorprendenti e uniche.

Ma a New York, insieme a tutto il resto, ci ho trascorso anche un Natale, il primo anno che ero lì.

Non si contano i film fatti sul Natale, a New York, e non è un caso. è forse la città che lo celebra più in grande in tutto il mondo, e in tutti i modi: mondano, religioso, cattolico o cristiano di altre denominazioni, commerciale e familiare. In questo articolo vi racconto un po’ dei miei ricordi più cari.

Innanzitutto c’è da dire che il Natale in Usa inizia praticamente ora, con l’ultima settimana di novembre, in cui si festeggia il “Thanksgiving”, il “Giorno del ringraziamento”, che cade sempre l’ultimo giovedì del mese di novembre.

è il giorno dove tutto si ferma e tutti – ma proprio tutti, anche molto più che per il Natale – tornano a casa in famiglia. Questa grande festa “di ringraziamento”, appunto, apre le porte alla stagione natalizia, con le sue decorazioni folli, la sua attesa piena di eccitazione. Quel primo anno il Ringraziamento lo trascorsi con i nuovi amici trovati e cucinai una focaccia barese – perché fosse presente anche un po’ di Puglia, a New York. Ricordo il  quartiere di New York famoso per le luminarie che andammo a visitare quell’anno, “Dyker Heights”. Ma non quelle che ci aspetteremmo noi, delle nostre feste patronali nelle strade, ma quelle delle case. Ricordate il film “Mamma ho perso l’aereo” e la casa del bambino completamente illuminata a festa? Ecco, esattamente come quelle. Case – più o meno grandi – cosparse di luci di ogni tipo, pupazzi di neve ed elfi, e altri tipi di bizzarrie.

E poi c’è Manhattan, ovviamente. Dove ogni negozio è un tripudio di festa, colori, luci e musiche, e ogni angolo grida: “Sta arrivando Natale!” in ogni modo in cui questo si possa gridare. Ricordo gli abeti disposti sulle strade della Sesta tutti in fila, e occasionalmente qualcuno che se lo comprava e lo portava a casa in metro. Ricordo i concerti Gospel o di musica classica che iniziavano a moltiplicarsi in ogni chiesa e ad ogni angolo. Il mercatino di Natale di Bryant Park, i caffè con caramello caldo che si stringevano di sera quando nella neve ci si incontrava per chiaccherare insieme a Central Park e musiche anni ‘90 ad ogni angolo di strada. “Last Christmas” di George Michael credo New York l’abbia adottata come inno nazionale per il suo natale.

Ricordo il Rockfeller Center con le sue statue di angeli di luci e la pista di ghiaccio decorata a festa, e il grande magazzino di lusso, Saks, esattamente di fronte, le cui vetrine erano allestite in un magico mondo di neve e il palazzo si illuminava a ritmo della musica di “Mamma ho perso l’aereo”, in uno spettacolo di luci e suoni pirotecnico difficile da confrontare a qualsiasi altro abbia mai visto.

Un barbone in un parco di New York (foto di Marco.gio.fer.)

New York era tutto questo, con i negozi aperti fino a sera tarda il 24, e anche tutto il 25, per convincere a comprare a più non posso fino all’ultimo minuto, ma era anche contrasti che facevano paura.

Il 24 mattina mi alzai ed andai a Union Square, dove c’era il mercatino di Natale. All’epoca lavoravo per una piccola televisione cattolica, e misi insieme un video in cui chiedevo ai New Yorkers un loro desiderio, per quell’anno, dicendo che avremmo pregato nella messa della notte. Fu un bel modo di connettermi con loro. In molti dissero che il loro desiderio era che a casa stessero tutti bene, perché non potevano viaggiare, per quel giorno. Molti me lo dissero piangendo.

Contrariamente all’Italia, non ci sono ferie, in America, per Natale - neanche per due giorni - e moltissimi finiscono per trascorrerlo da soli. Perché il giorno dopo si ritorna a lavoro. Può sembrare tutto luci, New York, a Natale, in realtà io ci sentii una grande solitudine lì dentro, esorcizzata esattamente da questa spasmodica ricerca di un calore che non si ritrovava altrove.

Il Natale, poi, lo trascorsi con una famiglia cristiana molto numerosa, che aveva invitato la famiglia del vicino di casa, che aveva appena perso il lavoro. Non avrebbero avuto modo di fare un bel pranzo e regali ai bambini, e allora buttammo 2 kili di pasta in più, improvvisammo un sugo, impacchettammo qualche dono e moltiplicammo il Natale.

Quello che rimase lo portai a Joseph, un barbone cieco che viveva nella metro vicino casa mia. E chiaccherammo per un po’, mentre mi raccontava della sua infanzia in una casa nella campagna Newyorkese con i suoi cugini. In quel racconto vidi la mia infanzia e sentii che siamo veramente tutti alla ricerca delle stesse cose: al di là delle luci e dei cappotti costosi, vogliamo in fondo tutti una casa piena di chi amiamo e un camino vero a riscaldarci. Perché la vita, se non la si condivide, che vita è? La lezione più dura che New York, a Natale, insegna sopra tutte.

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