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Depressione stagionale(Sad): perché in questo periodo e come si cura

Depressione

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Intervista al Prof. Giovanni D’Attoma, specialista in Neuropsichiatria e Neuroendocrinologia, Psicoterapeuta. Molte persone lamentano in questo periodo una condizione di malessere che configura una depressione tipica di questo periodo, di che cosa si tratta? Diversi disturbi dell’umore come gli episodi depressivi maggiori, ma anche il disturbo bipolare possono avere la caratteristica di manifestarsi in particolari periodi dell’anno, da novembre ad aprile ed esaurirsi in primavera, ma esiste anche, come lei dice una tipica “depressione stagionale” caratterizzata da astenia, disturbi del sonno, in particolare ipersonnia, incremento ponderale correlato anche ad abuso di carboidrati, scarso impegno nell’attività lavorativa e difficoltà nel rapporto sessuale che hanno la caratteristica di rispondere ad un trattamento molto semplice come la “light therapy”, una tecnica che nel nostro di Centro Cefalee e Neuropsichiatria utilizziamo da oltre 15 anni. Perché questa patologia si evidenzia in questo periodo e quali sono i soggetti che vengono particolarmente colpiti? In questo periodo, in tutti gli esseri viventi, si realizza un calo si serotonina che rappresenta uno dei neurotrasmettitori coinvolti in questa patologia: questa condizione è favorita da un alterato ritmo della melatonina. Con la “lighth therapy” noi andiamo ad ottimizzare il ritmo circadiano della melatonina, migliorando le basi biochimiche di questa malattia. Vengono particolarmente colpiti i soggetti geneticamente predisposti con particolari problemi di stress Come distinguere chiaramente la condizione “clinica” delle innumerevoli fonti di frustrazione, tristezza e demoralizzazione che ogni essere subisce nel corso della sua esistenza da uno stato depressivo? La depressione ha delle caratteristiche cliniche ben standardizzate nelle varie edizioni del DSM, manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, a cui fanno riferimento tutti gli psichiatri nel definire un disturbo mentale, La depressione fa comunemente riferimento all’episodio depressivo maggiore che è caratterizzato da una serie di disturbi, dall’umore depresso, alla perdita di interesse per quasi tutte le attività, disturbi del sonno, agitazione o rallentamento psicomotorio, sentimenti di autosvalutazione, ecc. che dovranno essere presenti contemporaneamente (almeno cinque dei sintomi) per un periodo di due settimane e rappresentano un cambiamento sostanziale rispetto al alle condizioni precedenti. Oggi ne sappiamo più di ieri sulla depressione ma non conosciamo con certezza la vera causa. Solo per caso, trattando i soggetti affetti da tbc con isoniazide, si noto’ che in questi soggetti migliorava il tono dell’umore, consentendo una conoscenza molto importante che portò alla scoperta dei farmaci che facevano aumentare la serotonina (5HT) nelle sinapsi neuronali: ne venne fuori l’ipotesi che una carenza di 5HT fosse la causa della depressione. Gli studi successivi hanno chiarito, da una parte il ruolo della 5HT, di cui sono stati scoperti numerosi recettori e solo qualcuno di questi gioca un ruolo importante nella depressione, ma ha consentito di definire meglio l’importanza dell’ipotalamo, vera centralina della nostra emotività, nel difenderci dallo stress attraverso un incremento del cortisolo. Studi recentissimi valorizzano il ruolo dei recettori del cortisolo (GR) presenti a livello ipotalamico ed influenzati da una serie di numerosi peptidi (di cui vi risparmio i nomi), fra questi anche alcuni ormoni femminili (ecco la preferenza per le donne!) che condizionano anche geneticamente tali recettori, influenzando la sensibilità recettoriale della serotonina, della noradrenalina, della dopamina e di altre sostanze. Tra gli angosciosi primati di questa terribile malattia c’è anche quello delle eventuali ricadute. Esiste la possibilità di prevenirle in tempo utile? Le ricadute sono correlate alla gravità della malattia, al trattamento farmacologico e/o psicoterapico effettuato. Nella mia pratica professionale nelle forme depressive di non particolare gravità ed, in particolare nei giovani, preferisco l’utilizzo della psicoterapia e, quando il paziente non partecipa attivamente al trattamento, aggiungo qualche farmaco. Molti pazienti sospendono il trattamento appena stanno meglio, altri lo proseguono all’infinito con tutti gli effetti collaterali che tali farmaci producono, altri pazienti “convivono” con questa patologia. Le recidive sono quindi spesso correlate ai farmaci utilizzati, alla durata del loro trattamento ed alla gravità della malattia. Oggi abbiamo numerosi strumenti che ci consentono di avere dei risultati soddisfacenti. Per guarire, meglio gli psicofarmaci personalizzati, la psicoterapia individuale oppure una integrazione virtuosa di entrambi questi fattori? Per guarire è indispensabile comprendere anzitutto la gravità della malattia: non tutti gli antidepressivi vanno bene per tutti i depressi. La particolare esperienza e competenza dello psichiatra consente di personalizzare la terapia, aggiornandola in relazione alla evoluzione della patologia, un secondo e non irrilevante aspetto è rappresentato dalla comprensione della famiglia che spesso sottovaluta le difficoltà del paziente depresso ed insiste, sbagliando, sulla opportunità che questi utilizzi la sua volontà per venirne fuori. Con i miei pazienti utilizzo, anche nelle forme gravi di depressione,un trattamento psicoterapico: se noto una qualche forma di accettazione e di impegno proseguo su questa strada con o senza l’aggiunta di uno psicofarmaco. Vi sono pazienti resistenti a qualsiasi psicofarmaco (antidepressivi, antiepilettici, antipsicotici ecc.) per i quali oggi esiste una nuova tecnica che consente molto spessa di ottenere buoni risultati, mi riferisco all’uso del TMS e del tDCS che utilizziamo nel nostro Centro Cefalee e Neuropsichiatria, alla stimolazione del nervo vago, al DBS (deep brain stimulation). Qualora le scoperte più recenti ed efficaci della scienza psichiatrica non riuscissero a prevalere sull’ombra del “male oscuro” si potrebbe, nei casi molto gravi, fare ricorso in ultima istanza al vecchio elettroshock? Molti miei colleghi fanno tuttora ricorso al vecchio elettroshock, io preferisco le tecniche di cui ho parlato pocanzi, in particolare al TMS (transcranic magnetic stimulation) che fornisce risultati molto positivi sovrapponibili al vecchio elettroshock, senza però gli inconvenienti legati a questa tecnica. Il TMS non produce alcun inconveniente, alcun disturbo collaterale e la risposta è soddisfacente.   Prof. Giovanni D’Attoma Specialista Neuropsichiatra, Psicoterapeuta, Medicina delle cefalee
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