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L’analisi

Le responsabilità della debacle del cosiddetto “campo largo”

L’invito al Pd: Saper trarre qualche insegnamento dal voto in Liguria e regolarsi di conseguenza

Elly Schlein, Matteo Renzi e Giuseppe Conte

Elly Schlein, Matteo Renzi e Giuseppe Conte

Io credo che il Pd se è costituito da persone politicamente accorte e che vogliono sinceramente battere il centro destra debbano saper trarre qualche insegnamento dal voto in Liguria e regolarsi di conseguenza. Sulle responsabilità della debacle del cosiddetto “campo largo” in Liguria Matteo Renzi sul piano politico e su quello più banale dei numeri ha ragione da vendere quando sostiene che se non si fosse dato corso al veto di Conte nei suoi riguardi a quest’ora a sinistra si brinderebbe per la vittoria. In Liguria la sinistra, dopo il tappeto rosso che la magistratura le aveva apprestato con l’arresto di Toti e compagni, non è stata capace di fare goal neanche a porta vuota. Da questo punto di vista a perdere in Liguria non è stata solo la sinistra ma anche la magistratura genovese. Il voto ha infatti dimostrato che i genovesi non credono più ai magistrati che fanno politica e se ne fottono delle loro indagini strumentali. Bene, i numeri non mentono mai e sono inesorabili. Quelli del voto in Liguria dicono chiaramente questo: Bucci ha vinto con 291.093 voti pari al 48,77%, Orlando ha perso con 282.669 voti pari al 47,36% il Movimento 5 stelle ha preso 25.659 pari il 4,6%. Orbene i numeri ci comunicano senza ombra di dubbio che mancano all’appello 8424 voti, un’inezia, per far vincere Orlando. Elly Schlein quando, in vena di dire barzellette post-elettorali, dopo la batosta ligure canta vittoria “La vittoria a Genova dà speranza per il futuro” dimostra di non aver capito niente del voto. Non ha realizzato ancora che, se fosse riuscita a mettere sull’attenti Conte respingendo al mittente il veto dei 5 stelle contro Renzi, oggi Orlando siederebbe sullo scranno di Presidente della Regione Liguria. “Ma, dicono i 5 stelle e alcuni esponenti del PD antirenziani, se Schlein avesse scelto di fare l’alleanza con Renzi avrebbe perso il 4,6% dei 5 stelle”. Certamente è così. Ma un leader è tale se dà la linea e si muove di conseguenza riuscendo nel contempo a mediare e a condurre a sintesi sensibilità diverse altrimenti non è un leader ma un semplice burocrate E qui viene fuori prepotente il dato storico ineludibile del problema.  Il PCI prima e il PD oggi da sempre sono in mezzo al guado. Il PCI non riuscì mai a decidere se rimanere comunista o saltare il fosso e scegliere definitivamente la socialdemocrazia. Questa scelta non fu fatta da Palmiro Togliatti legato com’era a Mosca ma neanche Enrico Berlinguer fu capace di farla poiché non fu capace di buttare il cuore oltre la siepe e guardare avanti. All’offerta di Bettino Craxi al Congresso di Rimini di costruire con l’Unità Socialista l’alternativa alla Democrazia Cristiana Berlinguer si chiuse a riccio e rispose picche. Preferì guardare al passato e alla ottocentesca lotta di classe, tutelare la ditta e col compromesso storico scelse la strada dell’accordo con la peggiore DC, quella di Andreotti, astenendosi sul governo di Belzebù al momento del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro. La situazione si impantanò e il progetto dell’unità socialista andò a finire alle ortiche. Se Berlinguer avesse scelto la strada dell’Unità Socialista la storia recente del nostro Paese avrebbe preso un’altra strada e anche in Italia oggi avremmo un grande partito socialista democratico ed europeo come in Francia, in Germania e in Svezia.  Con il PD la musica non cambia. Il PD, in quanto partito più grosso numericamente della sinistra e quindi perno per qualsiasi alleanza in un sistema sostanzialmente bipolare, non ha mai scelto e continua a non scegliere rimanendo ancora una volta in mezzo al guado. Oggi la scelta ineludibile che il PD è chiamato a fare è tra un centro riformista e socialdemocratico e l’estremismo parolaio, demagogico e populista di Conte, Fratoianni e Bonelli. Capisco le difficoltà di Schlein a tenere in piedi il cosiddetto campo largo ma da questo a farsi dettare l’agenda politica e quella delle alleanze da Giuseppe Conte ce ne passa. Il ragionamento di Schlein non è un ragionamento politico ma è banalmente di opportunismo numerico. Magari le piacerebbe dialogare più con Renzi che con Conte perché capisce che Conte è animato da revanchismo personale contro Renzi ed aspira ad essere lui il federatore della sinistra. Però, questo è lo Schlein pensiero, Renzi è numericamente esiguo e Conte elettoralmente ha numeri maggiori. Ora dopo il crollo verticale in Liguria sotto il 5% che ha certificato che i 5 stelle sono ormai alla frutta, prossimi all’estinzione, gente che sarà ricordata come un gruppo di sfessati e di scappati di casa che hanno combinato solo grandi disastri, e soprattutto dopo il successo del PD che dimostra di esserci e di tenere, Schlein riuscirà a capire che deve cambiare rotta e parlare con maggiore forza e autorevolezza ai suoi interlocutori del campo largo? Riuscirà a capire che deve abbandonare Conte al suo destino perché inseguendo Conte come ha fatto finora, a mio parere sbagliando profondamente, sta conducendo il PD verso una deriva estrema rumorosa e piazzaiola ma sostanzialmente ininfluente? Riuscirà a comprendere ancora una volta la verità elementare che, se la sinistra vuole battere la destra, deve sfondare al centro?  Negli ultimi trenta anni la sinistra è andata al governo del Paese con manovre di palazzo e con meccanismi tutti interni al Palazzo. Una volta soltanto è andata al governo del Paese col consenso popolare conseguito nelle urne, con Romano Prodi, cioè con un uomo del centro post-democristiano. E questo avrà pure un significato. Ma, ci si domanda all’interno del PD, sfondare al centro cosa significa? Significa conquistare in tutto o in parte quell’immensa prateria rappresentata dal quasi 50% di astenuti che sono stufi della politica politicante, di una sinistra che vuole aprire le porte all’emigrazione senza controllo (così viene percepita, come in effetti è, la politica della sinistra sull’emigrazione), che non dice nulla sulla baggianate di Ilaria Salis, che fa della battaglia sui transgender un problema di Stato, che difende la parte bacata e deviata della magistratura politicizzata solo perché gode della sua protezione, che agita ancora lo spauracchio ormai arrugginito del Fascismo alle porte, che sul tema della sicurezza è di manica larga, che si schiera sempre dalla parte dei migranti anche quando delinquono, che protegge gli studenti e i teppisti dei centri sociali e della sinistra antagonista quando aggrediscono i poliziotti, che non condanna mai le occupazioni abusive delle case, che protegge chi non rispetta la legge e mette in secondo piano chi invece la rispetta. Se Schlein oggi come ieri il PCI preferisce la minoranza rumorosa e si fa dettare l’agenda da Conte, Fratoianni e Bonelli candida il PD ad assumere il ruolo residuale di un partito di testimonianza e, quanto all’obiettivo di costruire un’alternativa credibile alla destra campa cavallo.  Capisco che la scelta non è facile perchè il centro attualmente c’è nella società ma non ha adeguata rappresentanza politica perché quelli che pretendono di rappresentarlo da Renzi a Calenda, per non parlare della galassia delle sigle dei post-democristiani da Cesa a Cuffaro a Rotondi, sono solo mosche cocchiere, prime donne, primi della classe e generali senza esercito che litigano continuamente su chi deve fare il generalissimo del nulla. Il problema del centro è che non c’è un federatore, un leader capace di metterne insieme le diverse anime. C’è stato un momento in cui questo federatore il centro lo ha avuto e si chiamava Matteo Renzi, l’unico che aveva qualche chance per farcela perché aveva carattere e idee e soprattutto perché pur provenendo dal centro post-democristiano era riuscito a diventare Segretario del PD. Aveva fatto raggiungere alla sinistra percentuali di consenso mai viste, il 40%, ma gli hanno segato la poltrona e lo hanno fatto fuori i suoi stessi compagni di partito. Oggi il Pd potrebbe essere quel federatore in quanto partito più importante e numericamente più consistente della sinistra ma gli manca il leader capace e in grado di assolvere al compito arduo e difficile. Elly Schlein è la meno adatta perché non ha né i numeri nè il carattere, né il carisma né la lungimiranza politica poiché è solo un’agitatrice di piazza senza visione politica.

Fino a quando il Pd non sceglierà, la sinistra è condannata a rimanere in mezzo al guado e potrà solo costruire, se pure ci riuscirà, in qualche sperduta regione periferica, un campo largo, stretto, campicello, orticello o aiuola che sia, per vincere magari una tornata elettorale ma non costruirà mai, come invece è stata capace di fare la destra, una coalizione per governare il Paese. Fino ad allora Giorgia Meloni potrà dormire sonni tranquilli.

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