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La fragile congiuntura socioeconomica

Tunisia

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Nell’ambito del dossier migratorio, in cima alle preoccupazioni italiane, c’è il “caso Tunisia”. Nelle ultime settimane le partenze verso Lampedusa sono aumentate, in conseguenza di una grave crisi che strangola l’economia del paese. Il portavoce della Guardia nazionale di Tunisi, Houssemeddine Jebabli, recentemente ha affermato che la Guardia costiera tunisina ha fermato nel 2022 38.720 migranti irregolari, l’80% dei quali in occasione di interventi di salvataggio in mare, il 20% prima delle effettive partenze. La maggior parte dei tentativi di migrazione si verifica dalle coste di Sfax e Mahdia che dispongono di una considerevole flotta di pescherecci e di tecnici specializzati nella riparazione degli stessi. La maggior parte dei migranti illegali sono cittadini di vari Paesi dell’Africa Subsahariana e che, dall’inizio dell’anno fino al 10 marzo 2023, sono stati fermati 10.200 migranti illegali. In Tunisia è in atto un processo di transizione dagli esiti poco chiari. Il paese è andato al voto in un clima politico teso, con i cittadini esasperati dalla crisi socioeconomica e finanziaria che dura ormai da più di dieci anni: i consumatori tunisini fanno i conti con un’inflazione in crescita (più del 10%), un’alta disoccupazione (oltre il 15% e con un dato giovanile intorno al 38%), l’irreperibilità di beni di prima necessità e carenza diffusa di carburante. La nuova carta costituzionale di Kaïs Saïed ha formalizzato il graduale processo di accentramento dei poteri condotto da un sistema iper-presidenziale. Il parlamento eletto è stato privato della propria funzione legislativa e di controllo sull’azione del governo e del presidente, limitandosi a un’attività meramente consultiva. Il tasso di partecipazione ufficiale al secondo turno delle elezioni parlamentari è stato dell’11,4%, con poco più di un milione di elettori che hanno espresso il proprio voto su un totale di circa 9 milioni di aventi diritto. In questo contesto, la situazione socioeconomica e finanziaria resta una spada di Damocle per la Tunisia e il suo presidente. Dopo aver raggiunto un accordo tecnico con il governo tunisino, al termine di una lunga fase di negoziati, il Fondo monetario internazionale (Fmi) dovrebbe dare il via libera alla concessione di un prestito al paese del valore di 2 miliardi di dollari per i prossimi quattro anni. L’intesa con il Fmi impone allo stato tunisino l’implementazione di una serie di riforme di austerità che non incontrano il favore del principale sindacato del paese, l’Union Générale Tunisienne du Travail (Ugtt). È su questo sfondo che andrebbe letto il voto favorevole di Tunisi alla risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu di ottobre, che condanna l’annessione dei territori ucraini da parte della Russia. La decisione sembra essere una riprova della volontà dell’establishment tunisino di non scontentare i suoi alleati occidentali. Fra gli stati UE, i rapporti della Tunisia sono particolarmente solidi con la Francia e l’Italia. La Francia ha annunciato la firma di un nuovo accordo per un prestito alla Tunisia del valore di 200 milioni di euro a margine del 18° vertice della Francofonia e si è limitata, con un comunicato del suo ministero degli Esteri, a prendere atto delle elezioni, evidenziando la scarsa affluenza alle urne. Dopo essere diventata il primo partner commerciale della Tunisia a giugno 2022, superando la Francia per la prima volta dall’indipendenza del paese nordafricano, l’Italia ha consolidato ulteriormente il proprio primato, con un incremento dell’interscambio del 26,2% rispetto ai primi dieci mesi del 2022. Oltre al rafforzamento della cooperazione in materia economica e commerciale, Roma è interessata alla gestione dei flussi di migranti provenienti dallo stato nordafricano, un dossier che, come conferma la recente visita congiunta nel paese del ministro degli Esteri Antonio Tajani e del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ha acquisito una rilevanza crescente anche a causa della fragile congiuntura socioeconomica che la Tunisia sta attraversando. Per quanto riguarda il primo aspetto, le scorse settimane hanno fatto registrare un significativo passo in avanti in direzione di nuovi potenziali investimenti nel campo delle energie rinnovabili con l’avvio della produzione dell’impianto fotovoltaico operato di Tataouine (nel sud della Tunisia), a seguito dell’allaccio alla rete nazionale. L’impianto, realizzato da una joint venture paritetica fra la società italiana e l’Etap (Société Tunisienne de l’Electricité et du Gaz), svolgerà un ruolo importante nel percorso di decarbonizzazione del sistema energetico tunisino e nell’azzeramento delle emissioni del paese entro il 2050, in linea con la strategia di Eni nel mediolungo periodo. Questo progetto potrebbe assumere una rilevanza ancor più strategica per l’Italia in virtù della futura realizzazione dell’elettrodotto sottomarino Elmed che collegherà il nord della Tunisia e la Sicilia. Mentre l’Italia media perché il Fmi conceda i fondi necessari alla Tunisia infatti, attivisti politici e oppositori mettono in guardia: “Quella del presidente Saied – sostengono – è un ricatto all’Europa al pari di quelle messe in atto dalla Turchia di Erdogan e prima ancora dalla Libia di Gheddafi”. È solo un’ipotesi, ma non del tutto inverosimile. In questi anni la Tunisia ha beneficiato di lauti finanziamenti dall’Europa per la gestione dei flussi migratori e ora quel ‘tappo’ rischia di saltare.
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