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Per l’autogoverno del Sud

Il Prof. Maurizio Ballestreri all'assemblea nazionale di Mezzogiorno Federato

Il Prof. Maurizio Ballestreri all'assemblea nazionale di Mezzogiorno Federato

Si deve apprezzare l’iniziativa di Mezzogiorno Federato, anche a fronte della stagnazione della politica nazionale e dell’attuale scenario socioeconomico, segnato dalla diffusione delle povertà, dalla disarticolazione del lavoro e della produzione, dalla drammatica perdita del potere d’acquisto aggravato dalla pandemia e dall’invasione russa in Ucraina. Un’iniziativa che vuole dare un vero protagonismo al Sud, trasformandolo da emergenza storica nazionale a grande opportunità per l’Italia e per l’Europa. La prevalente destinazione verso le regioni del Nord dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, costituisce una sorta di metafora della difficile Unità nazionale a 160 anni dalla sua realizzazione. È sotto gli occhi di tutti come sia cresciuto negli ultimi anni il divario tra Nord e Sud del Paese, evidenziando ancora una volta le differenze territoriali, che - per molteplici motivazioni di carattere storico, culturale, sociale e geografico - rappresentano una costante nei processi di sviluppo del nostro Paese. Come è stato ampiamente illustrato a livello storiografico, lo Stato unitario appena nato, fu costretto a misurarsi con l’evidente gravissimo problema della profonda disomogeneità tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud. Meridionalisti di diverse ideologia politica e formazione culturale, come il liberale progressista Francesco Saverio Nitti, il socialista federalista Gaetano Salvemini e il democratico liberale Guido Dorso, hanno espresso storicamente una convergenza sulla tesi dell’abbandono voluto del Meridione e dello sfruttamento delle sue risorse, in particolare di quelle dei lavoratori, da parte dello Stato centrale, anzi, si deve aggiungere, dell’“L’Italia e i suoi tre Stati”, per riprendere il titolo del bel saggio del 2011 dello storico Massimo Salvadori, che illustra come l’unità del Paese sia passata da tre periodi politico-istituzionali profondamente diversi tra loro: lo Stato liberalmonarchico, la dittatura fascista, la democrazia repubblicana. E a fronte di tale secessione, sociale ed economica, segnata dall’emigrazione di massa, specie nel secondo dopoguerra, dalle campagne meridionali verso le grandi fabbriche fordiste del Nord, e, oggi, di giovani dotati di cultura e conoscenza in fuga dalla disoccupazione del nostro Mezzogiorno, mentre perdurano gravi forme di sfruttamento dei lavoratori attraverso la pratica del dumping sociale, sovente le classi dirigenti a livello centrale ne hanno dato una intollerabile giustificazione antropologica. Ma non vi è dubbio che il tema della carenza di cultura di governo, delle pratiche clientelari e dei connubi con la criminalità organizzata, da parte dei élite politiche (o sedicenti tali!) del Meridione, assieme, bisogna rilevarlo, ad una certa carenza di cultura civica tra le popolazioni e di senso del collettivo, abbia costituito la giustificazione per il sistematico abbandono del Sud. Ritorna, ancora una volta, di attualità il problema evidenziato da Guido Dorso del “self-government” nel Mezzogiorno, della capacità di realizzare forme di integrazione tra le diverse regioni del Sud basate sull’autogoverno, che secondo il grande meridionalista: “prima che nelle istituzioni e nelle leggi, deve nascere nello spirito dei cittadini, è funzione critica di distacco da ogni forma di autorità che non sia l’autorità della libertà, è contrapposizione a tutte le forme di violenza, è insomma armonia di libere coscienze che tutelano i loro interessi legittimamente conquistati”. E’ necessario promuovere la crescita economica e il lavoro produttivo per modernizzare il Mezzogiorno, e, quindi, servono investimenti in infrastrutture immateriali, innanzitutto la banda larga e il wi-fi libero, e materiali, come l’Alta velocità su tutto il territorio meridionale, il rifacimento di strade e autostrade, un grande hub portuale internazionale e il potenziamento del sistema dei porti e il Ponte sullo Stretto, che l’Unione europea considera un’opera strategica di collegamento nell’ambito del Corridoio Scandinavo-Mediterraneo, che da Helsinky si dipana sino a La Valletta, su cui il Governo nazionale continua a praticare la deprecabile politica del rinvio. Al fondo c’è l’esigenza posta da Mezzogiorno Federato di un’alleanza meridionalista, dotata di una moderna cultura di governo e basata su di un riformismo pragmatico, per grandi progetti integrati di modernizzazione di sistema, per trasformare il nostro Mezzogiorno nella piattaforma logistica e integrata euromediterranea, sfruttando l’opportunità dei fondi del PNRR. Il Sud infatti, deve essere unitariamente inteso come piattaforma logistica e strategica dell’incontro tra un’Unione Europea che finalmente sembra mettere in soffitta l’austerity - assumendo quali stelle polari politiche espansive della domanda e rilancio del Welfare State - e i paesi rivieraschi del Mediterraneo. Ma se così non sarà, i fondi europei contro la pandemia saranno un’altra occasione perduta per il Meridione di essere davvero parte costitutiva della Nazione. Maurizio BALLISTRERI Professore di diritto del lavoro nell’Università di Messina
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