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Perché tanto odio nei confronti di Renzi

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Nelle scorse settimane nelle quali si sono consumate la crisi del secondo governo Con­te e la nascita del governo Draghi credo che gli italiani nei confronti di Matteo Renzi abbiano dato prova di un diffuso comporta­mento di schizofrenia politica collettiva da antologia. Renzi è il politico italiano più odiato di cui a memoria d’uomo si abbia notizia. La stam­pa di destra, di sinistra, di centro lo hanno massacrato, dileggiato, insultato quotidia­namente. Qualche foglio, il Fatto quotidia­no, ha addirittura pubblicato una sua foto in prima pagina con su scritto “In caso di disa­stro sputare qui”. Per non parlare dei social sui quali si è scatenato il peggio del peggio dell’odio e si sono riversate secchiate di fan­go su di lui con insulti ai limiti del codice penale. Certo non si può dire che Renzi ab­bia un carattere facile. Il personaggio è ar­rogante, presenzialista, ambizioso, persegue con lucida determinazione gli obiettivi che si prefigge e non si fa scrupolo di eliminare gli ostacoli che si frappongono ai suoi progetti. Certamente ha un ego accentuato e non gli manca un pizzico di cinismo ma da questo a farne un mostro ce ne passa. E infine, male dei mali, è un guascone antipatico per quel suo modo di ostentare sicurezza. Ma queste sono le qualità-difetti dei leader. Se un leader non ha un pizzico di ambizio­ne, di cinismo, di ego accentuato e di deter­minazione in politica non fa il leader ma il numero due tre o quattro. L’argomento più frequente che gli odiatori seriali di Renzi usano per attaccarlo è quello di non essersi ritirato definitivamente dalla politica dopo aver detto che lo avrebbe fatto se avesse per­so il referendum. L’argomento è un pretesto perché in realtà dopo il fallimento del referendum si è dimes­so da Presidente del Consiglio e da Segreta­rio del PD, questo in un Paese nel quale nel vocabolario dei politici la parola dimissioni è cancellata. Però si è candidato e pure fat­to eleggere al Senato. E questa è una colpa gravissima. Da lui si pretendeva il suicidio, cioè si voleva che fosse entrato in convento e avesse fatto il frate trappista. Ma si può chie­dere ad un giovane politico di 38 anni di riti­rarsi a vita privata? Ovviamente quelli che lo accusano di non aver mantenuto la promessa sono gli stessi che nulla dicono di chi ave­va minacciato “Mai col partito di Bibbiano” “Mai con Salvini” “No Tav, No Tap, No vax, No Ilva ecc.” e poi puntualmente sono andati con la Lega, col PD e ora perfino con Berlu­sconi. Gli stessi che massacrano Renzi nulla hanno avuto da ridire su Conte che dall’odio contro la Lega e il PD è andato a braccetto sia con i leghisti che col PD. Certo Renzi un paio di errori li ha commessi davvero e anche politicamente molto gravi. In due occasioni non è stato abbastanza cini­co ed ha sbagliato i tempi. E come è noto in politica i tempi sono fondamentali. Quando da segretario del PD alle europee aveva rag­giunto il 44% avrebbe allora dovuto fare la scissione e creare un grande partito nazio­nale di centro che raggruppasse i riformisti di sinistra e di destra sul modello Macron. L’occasione si è ripetuta quando al referen­dum aveva detto “Chi vota si al referendum è con me chi vota no è contro di me”. In quel referendum trasformato in un voto sulla sua persona i si furono il 41%. Allora avrebbe dovuto andar via dal PD e capitalizzare quel 41% dato sulla sua persona che certamente non sarebbe stato in un’elezione politica il 41% ma certamente almeno il 30% si. Questi errori si pagano e a lui sono stati fata­li poiché ha dato il tempo ai suoi avversari di organizzarsi e di azzopparlo. Eppure ha un paio di meriti di carattere politico che è di­sonesto non ascrivergli. Quando Salvini dal Papeete aveva messo in crisi il governo Con­te uno e rivendicava i pieni poteri, quando in quella stessa occasione Zingaretti e Di Maio avevano già ceduto le armi a Salvini sul voto anticipato e ci si apprestava allo scioglimen­to delle camere, con un colpo d’ala insospet­tabile, lui che aveva detto mai con i grillini che gli avevano gettato addosso secchiate di fango (Banca Etruria, la Boschi, il padre ecc..) passò sopra agli insulti e favorì un go­verno con i 5 stelle lasciando con un palmo di naso Salvini e sorprendendo Zingaretti e Grillo che mai avrebbero pensato ad un Ren­zi alleato dei grillini. Eppure con quel colpo d’ala Renzi ha evitato che con il voto anticipato l’uomo del Papeete e Meloni prendessero il potere con tutte le conseguenze che questo avrebbe significa­to per il nostro Paese. Non gli si riconobbe quel merito indiscutibile (cosa ovvia e com­prensibile da destra) ma non glielo riconob­bero (cosa assolutamente incomprensibile) neanche da sinistra. Anche allora le accuse furono di cinismo, trasformismo, voltagab­banismo, inaffidabilità, voglia di potere. Il copione si è ripetuto adesso che ha messo in crisi il Conte 2. Renzi si è fatto carico dei malumori nei confronti di Conte borbottati nei corridoi del Nazareno e nel Transatlanti­co di Montecitorio: il governo aveva fatto un Recovery plan che l’Europa considerava una barzelletta, sulla pandemia il governo pensa­va ai monopattini e ai banchi a rotelle invece che ad un piano vaccini, l’economia andava a rotoli e Conte pensava di affrontarla con il reddito di cittadinanza e i ristori senza un piano alternativo, ecc. Queste cose si mormoravano nel PD e in Parlamento fin dall’estate scorsa ma nessuno aveva il coraggio di dirle apertamente. Renzi su questi temi di cruciale importanza è usci­to allo scoperto, ci ha messo la faccia, con molto coraggio e determinazione si è assunto la responsabilità di aprire una crisi di gover­no mentre Conte, il PD e i grillini manda­vano in onda lo spettacolo immondo di un Presidente del Consiglio che apriva il mer­cato delle vacche in Parlamento cercando di comprare deputati e senatori e acconciandosi a governare col sostegno di Mastella e Ciam­polillo. Il risultato di questa lucidissima e coraggiosa operazione è il governo Draghi da tutti esaltato (destra e sinistra, in Italia e in Europa) come il migliore dei governi guidato da un’indiscutibile autorità di livello internazionale. Alla sola ipotesi di un incarico a Draghi la borsa è schizzata in alto di 5 punti e lo spre­ad è sprofondato ai minimi storici. In una giornata il risparmio sugli interessi è stato di un miliardo di euro. Ci si aspettava che tutti riconoscessero a Renzi il merito di aver fatto una importante operazione politica per il Paese non certamente per se stesso poiché come potere ne è uscito enormemente inde­bolito (ha perso la golden share che aveva con Conte ed ha perso un ministro e qualche sot­tosegretario). Invece giù tutti a dargli addos­so: sfasciacarrozze, irresponsabile perché ha aperto la crisi in un momento inopportuno, cinico, machiavellico, opportunista, inaffida­bile, pugnalatore di premiers e chi più ne ha più ne metta. Siamo alla schizofrenia politica di massa. Quelli (giornalisti, politici e com­mentatori) che esaltano Mario Draghi e il suo governo sono gli stessi che dileggiano Ren­zi il suo inventore. Ma in tutta questa storia quello che risulta davvero incomprensibile è l’odio della sinistra nei confronti del senatore di Rignano molto più feroce di quello della destra (che pure a Renzi non le manda a dire) cosa del tutto ovvia. Ma quali sono i perché di questo odio irri­sarcibile nei confronti di Renzi? Sarebbe fin troppo facile, liquidatorio e perfino banale scomodare la psicanalisi e richiamare il con­cetto di antipatia. Il PD è un partito struttu­rato che viene da lontano e non si fa guidare nelle scelte politiche da problemi caratteriali ed emotivi. C’è molto di più e per spiegarlo occorre fare ricorso alla storia e all’ideologia. Quello del PD nei confronti di Renzi è l’odio storico del residuo di leninismo duro a mori­re che è ancora presente in certa sinistra no­vecentesca che diffida ed odia il riformismo e lo considera diverso perché è altro da sé. E’ Arturo Labriola che considerava i socialisti riformisti di Turati “traditori del proletariato e fiancheggiatori della borghesia”, è l’accusa che i comunisti dopo Livorno rivolgevano ai socialisti riformisti di Turati e Treves di es­sere “gli artefici della negazione dei principi del socialismo e nemici del socialismo”. Sono i comunisti del PCI che durante il fa­scismo odieranno tanto i socialisti riformisti fino a definire Nenni e i socialisti in esilio social-fascisti e complici del fascismo. Mu­tate le condizioni storiche, nel secondo do­poguerra, dopo la stagione dei fronti popo­lari (allora il PSI era il fratello buono poichè stava sullo stesso fronte) questo linguaggio dei primi del secolo scorso ritorna e il PSI ri­diventa fratello cattivo e traditore della clas­se operaia. E la stagione del centro sinistra col PSI al governo con la DC. Ma è anche l’età di quel poco di riforme serie che sono state fatte in Italia in mezzo secolo di storia che hanno cambiato questo Paese: legge urbanistica, statuto dei diritti de lavo­ratori, sanità pubblica, scuola obbligatoria, divorzio, aborto ecc. Quel linguaffio riappa­re con Craxi definito “sfascista, uomo di de­stra pericolo per la democrazia” e i socialisti diventano ladri e corrotti. La storia si ripete oggi con D’Alema, Bersani, Bettini, il nuovo maitre a penser del PD, che considerano Ren­zi “uomo di destra, politico inaffidabile che aspira a diventare leader della destra, che col suo governo ha fatto riforme di destra” pur essendo a tutti noto che nei suoi quasi mille giorni di governo sono state approvate deci­ne di leggi riformiste: bonus bebè, aumento delle pensioni, abolizione dell’IMU e della TASI, e soprattutto legge sul caporalato che riforme di destra proprio non sono. La verità è che il riformismo scopre le carte al massimalismo e al leninismo e dimostra che la strada per il cambiamento di un Pa­ese non passa attraverso la strada che i co­munisti hanno indicato per un secolo il cui fallimento è stato certificato dalla caduta del muro di Berlino, ma quella del gradualismo e del riformismo socialista e liberale. Il fatto è che a certa residua sinistra fallita storica­mente non va a giù che altri a sinistra possa­no ragionare con la propria testa e pensarla diversamente dal partito guida “migliore” e “diverso” che pretende di avere l’esclusiva della rappresentanza della sinistra. Per i nipotini di Togliatti abituati alla con­suetudine che uno solo (Togliatti) pensa­va e gli altri eseguivano, essere di sinistra e pensare in maniera diversa e autonoma è un reato e significa essere un nemico. Per questo Renzi è il nemico da abbattere peg­gio di Salvini e Berlusconi. Ma non c’è da meravigliarsi perché, come è noto, la libertà di pensiero non ha mai abitato dalle parti di Via delle Botteghe oscure.
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