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Una raccolta intensa e simbolica tra dolore, sogno e appartenenza cosmica

“Come pesci che hanno perso le ali”

Bruna Starrantino canta la fragilità umana in cerca di legami perduti

“Come pesci che hanno perso le ali”: la poesia come ritorno all’origine

La nuova raccolta poetica di Bruna Starrantino, Come pesci che hanno perso le ali, pubblicata da G.C.L. Edizioni nel 2025, è un viaggio simbolico e lirico alla ricerca di un senso profondo di appartenenza.

Poetessa, counselor, arteterapeuta ed esperta in discipline umanistiche di origine siciliana, l’autrice firma un libro che si rivela al tempo stesso itinerario spirituale, riflessione sul presente, esplorazione archetipica e canto lirico animato da una sensibilità cosmica. Un’opera che si muove con naturalezza su più livelli – biografico, mitico, filosofico, ecologico e psichico – senza mai perdere coerenza stilistica né profondità espressiva.

Il titolo è già in sé una dichiarazione poetica che incanta e inquieta. I “pesci con le ali” sono figure visionarie, creature nate da un grembo d’acqua primigenia ma dotate di una memoria celeste. In loro si compendia l’idea di un’unità perduta tra cielo e mare, tra materia e spirito, tra ciò che siamo stati e ciò che potremmo tornare ad essere. La loro perdita, invece, è metafora della disgregazione: la frattura dell’essere, la separazione dai legami fondanti, l’alienazione profonda dell’umano da sé e dal mondo.

La poesia di Starrantino nasce da questa frattura e la attraversa con coraggio. Lo fa con una lingua personalissima, intrisa di musicalità, di immagini liquide e organiche, di simbologie ancestrali, dove le parole si offrono come scaglie sonore, gesti rituali, residui di una spiritualità dimenticata. Ogni poesia è un tentativo di ricucire lo strappo, di tendere un filo tra i frammenti, di riattivare un sentire profondo, corporeo, istintivo e intellettuale insieme.

Il mare è una presenza costante: luogo di nascita, grembo simbolico, elemento di ritorno e di purificazione. In componimenti come “La mia prima pelle”, “Arsura d’amore” o “Nel cavo di bianche conchiglie”, l’acqua è origine e fine, elemento in cui il corpo ritrova la propria essenza e l’anima la propria vibrazione. Ed è proprio in questa fluidità primordiale che l’autrice va alla ricerca di un senso, di un’identità altra, non fondata sull’io isolato e competitivo, ma su un’appartenenza cosmica, su legami profondi con ciò che è vivo, visibile o invisibile.

In questa visione, la poesia diventa non solo un mezzo espressivo, ma un vero e proprio strumento conoscitivo, uno spazio sacro in cui la parola è energia trasformativa. Starrantino non scrive per raccontare la realtà, ma per trasfigurarla, per restituire alla parola la sua forza archetipica e profetica. Le sue immagini sono vive, vibranti, spesso sinestetiche: una lingua che attinge tanto alla carne quanto al cielo, tanto al gesto quotidiano quanto all’architettura delle galassie.

La raccolta si compone di testi di varia estensione, in cui il verso si dilata fino a farsi canto, meditazione o preghiera, e si restringe poi in bagliori, scarti improvvisi, ossimori e sussurri. Nei testi più intimistici – come “Chiusa fuori dal mondo. Senza farci caso”, “Il mio corpo lo guardavo da fuori”, “Spaccature di cerebrali solitudini” – l’autrice si confronta con la solitudine, con la malinconia, con il corpo femminile e la sua vulnerabilità. È una poesia dell’assenza, dell’inadeguatezza, della perdita – ma mai della resa.

Una delle cifre più potenti del libro è infatti la sua capacità di tenere insieme la tenerezza e la vertigine, la ferita e la speranza. Anche nei passaggi più cupi, dove il dolore dell’esistenza si fa quasi insopportabile, resta una traccia luminosa, una nota salvifica: il desiderio, ostinato e lucidissimo, di restare umani, di ritrovare la via del sogno, della bellezza, della connessione.

Significativo in questo senso è il testo “Tutto ritorna nella danza delle stelle”, dove la poetessa immagina il ritorno all’origine in un ciclo cosmico che non annulla, ma trasfigura. Lì, come in molti altri luoghi del libro, si ritrova il nucleo profondo della poetica di Starrantino: l’intuizione che la vita non è mai separata, ma sempre relazionale, e che ogni cosa – dall’atomo al desiderio, dall’alga al pensiero – partecipa di un medesimo ritmo universale.

Il libro è attraversato anche da una forte consapevolezza sociale e culturale. La denuncia della “schizofrenia collettiva” che segna il nostro tempo – la frammentazione dell’identità, la perdita del sacro, l’idolatria dell’edonismo e della velocità – è espressa con un linguaggio poetico ma affilato. L’autrice non teme di scendere nella carne viva dell’esistenza, di nominare la paura, il dolore, l’estraneità, la perdita di senso. Ma lo fa sempre con uno sguardo alto, capace di evocare, nelle pieghe della crisi, il possibile riscatto.

In Come pesci che hanno perso le ali, dunque, la poesia è molto più di una forma artistica: è un atto necessario, una forma di resistenza, un gesto d’amore verso l’umanità e il mondo. Un libro da leggere e da attraversare con lentezza, con il rispetto che si riserva alle cose sacre. Un testo che, con la sua forza simbolica e la sua raffinata musicalità, riesce a toccare corde profonde, a risvegliare ricordi sopiti, a rimettere in moto il pensiero e il sentire.

È un’opera che non pretende di spiegare, ma di evocare, non di convincere, ma di far vibrare. E in un tempo come il nostro, rarefatto, caotico, disconnesso, è proprio questa vibrazione sottile, questa eco di un’origine dimenticata, ciò di cui abbiamo più bisogno. Bruna Starrantino, con questo libro, ci invita a tornare al respiro delle cose, a riconoscere il sacro in ciò che ci attraversa e ci compone, a ricordare che in ogni legame, anche il più fragile, risuona un ordine più grande. Un ordine fatto di poesia, di amore e di stelle.

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