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la recensione

"Il cuoco dell'imperatore", l'ultimo romanzo storico di Raffaele Nigro

Un libro da assaporare lentamente seguendo gli effluvi della cucina medievale di Guaimaro

La copertina del libro

La copertina del libro

“Il cuoco dell’imperatore”. L’imperatore è Federico II, “lo stupor mundi”, il “puer Apuliae”. E il cuoco? Si chiama Guaimaro delle Campane, è originario di una famiglia di fonditori di Melfi, è cuoco provetto e medico, ma anche un po’ mago, anzi masciaro, dagli strani poteri.

Questo originale personaggio e Federico II sono i protagonisti di un romanzo storico scritto da Raffaele Nigro, intitolato appunto “Il cuoco dell’imperatore” e pubblicato da La nave di Teseo.

Raffaele Nigro, come Guaimaro, frutto della sua fantasia, è lucano di Melfi, la città federiciana nel cuore del Vulture dove furono promulgate le famose “Costitutiones”, pertanto ha Federico nel suo codice genetico culturale. Ne è la prova questo suo romanzo, un’opera poderosa e ponderosa che unisce al rigore dello storico, l’estro dello scrittore e la fluidità narrativa del giornalista: il segreto, questo, dell’inconfondibile stile di Nigro, antologizzato e pluripremiato (è il caso di ricordare che vinse il Supercampiello nel 1987 con “I fuochi del Basento”?) e, insomma, “auctor” fra i più importanti d’Italia. Un romanzo storico, dicevo, perché è un misto di storia e di invenzione, ma anche antropologico; un romanzo che ha cadenze epiche nei ritmi incalzanti del romanzo d’avventura e respiro lirico, specie nelle descrizioni dei paesaggi (chi è tarentino leggerà con piacere le pagine dedicate a Taranto). Il risultato è un formidabile spaccato dell’età federiciana in quasi ottocento pagine, scandite in centosettantatré capitoli brevi, centosettantatré tessere musive che danno il tempo al lettore di riprendere fiato e addentrarsi via via con accresciuta curiosità nell’avvincente lettura senza stancarsi.

Il montaggio della storia è davvero perfetto. Ma ecco la cifra originale del romanzo: la vita di Federico, sulla quale sono stati scritti non fiumi, ma mari d’inchiostro, è raccontata “d’en bas”, anzi “de côté” del cuoco. Perché proprio un cuoco? Perché nella storia ci sono anche persone umili e invisibili e che pure sono importanti al fine della conoscenza di un’epoca e di una civiltà. Storia sono anche gli usi e i Il cuoco dell’imperatore, l’ultimo romanzo storico di Nigro costumi, la moda, la cucina, le tradizioni, la medicina, l’antropologia “tout court”. Ce lo ha insegnato la scuola delle Annales. E poi questo simpatico personaggio di Guaimaro avvicina Federico e il suo tempo al nostro tempo che vede gli “chef” protagonisti dell’editoria e di tanti programmi televisivi.

Raffaele Nigro

Ora entriamo nel romanzo. Guaimaro, in fuga da Melfi per il terrore di essere accusato ingiustamente dell’uccisione di due carbonai ebrei, incontra per la prima volta Federico, ragazzo quattordicenne e da poco eletto re, su un pitale, tormentato dagli ossiuri, lo lascia sul letto di morte nel 1250, ucciso dall’enterocolite, e lo accompagna nell’ultimo viaggio lungo il corteo funebre diretto a Palermo, con immutata devozione. Per le misteriose vie della fatalità, quindi, le due vite, quella di un re e quella di un cuoco coetanei, s’incontrano, s’intrecciano a doppio filo e non si lasciano più. Guaimaro è quasi l’ombra di Federico e il testimone attento dei trambusti storici, si direbbe che egli sia la controfigura dello stesso autore che di Federico sa proprio tutto e che racconta la vita dell’ imperatore con rispetto e affetto, passo passo, fra le luci e le ombre, nei trionfi e nella quotidianità, senza mai retorica ma con umana simpatia.

Nigro ha navigato in lungo e in largo nell’età federiciana e negli insidiosi paesaggi della storia con la bussola della sua cultura storica. Di questo secolo inciso dalla personalità radiosa di Federico egli ha raccontato, tramite Guaimaro, ricette, farmaci, riti, miti, magie, liriche, “chansons” e tutto il fabuloso mondo della Magna Curia con un linguaggio da cantastorie, di volta in volta impreziosito da termini aulici e idiotismi, alternando cultura alta e cultura popolare, civiltà cortese e folklore, mentre talvolta si avverte l’eco di Orazio, lucano di Venosa, retaggio umanistico di Nigro.

Succulente e iperrealiste le descrizioni particolareggiate delle pietanze cucinate da Guaimaro: sono delle straordinarie nature morte barocche affidate alla visione sensoria del lettore, cioè a un modo di vedere fondato sui sensi. Un consiglio per i docenti di lettere: è da proporre agli studenti, in particolare, il capitolo dedicato a Pier delle Vigne come appendice al commento del canto XIII dell’Inferno dantesco. La descrizione della morte del logoteta di Federico, raccontata da testimoni, è di una tale forza espressiva da lasciare i lettori ammirati e commossi. Non solo. Fra gli altri personaggi storici e verosimili che affollano il romanzo è posto in rilievo San Francesco d’Assisi, che ha in comune con Guaimaro il potere di parlare con gli animali, potere miracoloso per il Santo e magico per Guaimaro. C’è una spinta ideologica, è chiaro, ad appassionare l’autore e noi con lui: il progetto politico di Federico e il suo nuovo concetto di Stato. I principii espressi nelle Costituzioni di Melfi, la lotta contro i privilegi dei feudatari e contro l’autonomia dei Comuni, la sostituzione dei nobili con i burocrati e i giuristi, l’origine umana dell’autorità e la separazione fra potere spirituale e potere temporale hanno fatto vedere in Federico il primo creatore dello Stato moderno, accentrato e burocratico, oltre che il precursore, secondo gli scrittori neoghibellini del nostro Risorgimento, dell’unità d’Italia, ma anche l’antesignano dell’Europa unita.

Da questo punto di vista, grazie a Federico, il Mezzogiorno d’Italia fu in una posizione di superiorità rispetto ad altre realtà politiche di quel drammatico e controverso periodo storico. Insomma, “Il cuoco dell’imperatore” è un romanzo tutto da leggere, anzi da assaporare lentamente, seguendo gli effluvi della cucina medievale di Guaimaro, e ascoltando le tante, streganti voci di questa incredibile storia polifonica.

Josè Minervini

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