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LA RECENSIONE

Cosa sarei senza di me!?: tanta satira e “non sense” nel libro di Silvano Trevisani

La chiave di lettura per comprendere  le attorcigliate vicende narrate è il grottesco

SilvanoTrevisani

SilvanoTrevisani

Già dal titolo, “Cosa sarei senza di me!?”,  si può intuire il taglio, tra il paradossale e l’umoristico, di questo romanzo di Silvano Trevisani che è un thriller satirico:  “…Quello che avete tra le mani, sempre che nel frattempo non abbiate preso altro - spiega l’autore nel risvolto di copertina - non è un libro qualsiasi,… insomma: ma che libro è? Un thriller satirico”. Tuttavia, la chiave di lettura per comprendere  le attorcigliate vicende narrate è il grottesco, cioè il tragico e il comico insieme: tragico, per il disastro morale della nostra società, corrotta e volgarmente materialista; comico, perché i personaggi invischiati in situazioni paradossali,  sono schizzati coi toni caricaturali  e macchiettistici fin dall’incipit, quando l’ineffabile protagonista, l’onorevole Eupremio Spezzazappe, ignorantone e cafone, balzato agli onori della cronaca e del potere per i miracoli della democrazia, rende omaggio alla salma del suo caro amico Alberto scoppiando in una fragorosa risata.

“Che ci fa un noto parlamentare  della terza o quarta Repubblica italiana, a bordo di un gippone, guidato da uno strano capo carovana, nel bel mezzo  della jungla africana, in compagnia di alcune avvenenti giovani donne, di diversa nazionalità che sembrano tutte scarsamente consapevoli della loro missione ma decise a condurla fino in fondo?” 

La copertina del libro

Il che ricorda subito il film  di Ettore Scola “Riusciranno i nostri eroi  a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?”

Tutto il plot del romanzo è un garbuglio, anzi uno gnommero, direbbe Gadda, un pasticciaccio dove scorrono a ritmo serrato  personaggi maschili e femminili  equivoci, alcuni  moralmente luridi, intorno a un’operazione internazionale di crimini. Non è, però, la storia in sé a catturare il lettore, ma il linguaggio, anzi l’iperlinguismo che fa intuire l’umor saturnino  al nero di seppia e lo sdegno morale di Trevisani, troppo realista e disincantato per illudersi o farsi ingannare dalla retorica contemporanea. Sono in questo sdegno sotteso la volontà di sbugiardare e deridere i miti fasulli della nostra società, e la motivazione dell’impegno di scrittura.  Satira, dunque,  (“indignatio facit” non “versus”, in questo caso, ma “narrationem”); la satira, però, si sostanzia di sarcasmo acidissimo  più che di ironia.

“Cosa sarei senza di me!?” può essere considerato un romanzo postmoderno? Certo, anche se chi l’ha scritto ha il pensiero forte, non debole; il pensiero è quello di un intellettuale di formazione cristiana  che  conosce, da giornalista quale egli è,  il ventre della società e la miseria morale del nostro tempo, presentati allegramente, con una forte carica irrisoria, attraverso una lente deformante, allucinata e un po’ folle.

La forza del romanzo e la sua originalità sono, ripeto, nel linguaggio, tutto intessuto di “non sense” e doppi sensi, qui pro quo, calembours e “pastiche” linguistico: una straordinaria pirotecnia verbale, specie nei dialoghi incalzanti e nelle vicende che scorrono l’una nell’altra come in un caleidoscopio.

Gli echi si susseguono nel libro e non sfuggono al lettore colto, soprattutto fanno comprendere l’alta competenza letteraria dell’autore. Leggendo, si avverte la lezione dell’Oulipo francese e di Queneau in primis (“Les fleurs bleues”), e degli scrittori umoristi, da Jerome K. Jerome a Campanile e al giallista Malvaldi, così come Ionesco è stato un modello di riferimento fondamentale per tutto ciò che riguarda “l’assurdo” di certe situazioni. Fa anche capolino Totò sotto mentite spoglie linguistiche: “Ma insomma!- esclamò. Siamo uomini o parlamentari?” L’autore, col suo pensiero forte, è emerso dalle sabbie mobili del malumore  con una risata liberatoria e beffarda, anzi con uno sghignazzo che contagia ed esilara il lettore intelligente, su fatti, misfatti e porcherie varie dei potenti e prepotenti di oggi, e che l’onorevole Eupremio Spezzazappe, con tutta la sua rozzezza, riassume a perfezione. 

Un romanzo, questo, davvero inaspettato, se pensiamo ai precedenti, struggenti libri di poesia di Trevisani.

Un romanzo che è piacevole da leggere  e che fa riscoprire il piacere di leggere a chi sa pensare e ridere.

La conclusione lascia il lettore a bocca aperta. Cosa dice, d’altronde, il coro finale del Falstaff? “ Tutto nel mondo è burla. L’uomo è nato burlone, la fede in cor gli ciurla, gli ciurla la ragione”.  Il lettore ben riderà  della sorpresa finale.

Josè Minervini

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