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Giudizio penale favorevole e processo tributario

Il giudice tributario deve valutare criticamente la sentenza penale e integrare l’esame con gli elementi di prova raccolti in sede tributaria

Il parere legale

Il principio sancito impone al giudice tributario di valutare criticamente la sentenza penale e di integrare l’esame con gli elementi di prova specifica raccolti in sede tributaria

Il giudice tributario deve valutare criticamente la sentenza penale e integrare l’esame con gli elementi di prova specifica raccolti in sede tributaria.
L’Agenzia delle Entrate ha impugnato con ricorso per Cassazione la sentenza della Commissione Tributaria Regionale (CTR), che aveva rigettato il suo appello contro una precedente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, favorevole ad una società in accomandita semplice nei cui confronti era stato emesso un avviso di accertamento relativo all’IVA e all’IRAP per l’anno 2003, per l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e per l’indebito uso del regime del margine.

La Commissione Tributaria Regionale aveva accolto in parte la tesi della società, osservando che il legale rappresentante fosse stato assolto in sede penale, per i medesimi fatti e sulla medesima documentazione oggetto del processo tributario, con la formula piena “il fatto non sussiste” e ritenendo che la società contribuente fosse in buona fede - non conoscesse cioè la qualità di cartiera della società cedente - in ragione della struttura aziendale formalmente esistente (iscrizione alla Camera di Commercio, uffici, personale, mezzi di trasporto) della società fornitrice.

L’Agenzia delle Entrate lamentava in ricorso che la CTR avesse fatto acritica applicazione dell’assoluzione penale del legale rappresentante della società contribuente, motivata sulla base di circostanze (regolarità delle fatture e dei pagamenti, prezzi praticati in linea con il mercato del settore) irrilevanti in sede di accertamento fiscale.

Eccepiva, altresì, che la CTR avesse ritenuto, contrariamente alle risultanze del processo verbale di constatazione, sia la effettiva sussistenza del fornitore sia la buona fede della società contribuente.

La Corte di Cassazione ha riconosciuto la fondatezza del ricorso rigettando la tesi secondo cui la sentenza penale di assoluzione con formula “il fatto non sussiste” abbia efficacia vincolante automatica nel giudizio tributario e ribadendo il principio di autonomia dei due giudizi (penale e tributario) e della necessaria valutazione autonoma e complessiva degli elementi di prova in sede tributaria.

Ha, al riguardo, richiamato la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui la sentenza penale irrevocabile di assoluzione, ancorché emessa con la formula “il fatto non sussiste”, non è idonea, in forza del disposto di cui all’art. 654 c.p.p., ad esplicare alcun effetto vincolante nell’alveo del processo tributario, ma assume – per il principio della circolazione dei mezzi di prova – un rilievo solo quale elemento di prova. Tanto, in ragione dell’autonomia dei due giudizi, della diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione.

Ciò precisato la Corte di Cassazione ha esaminato la recente innovazione normativa intervenuta con l’art. 21 bis del D.Lgs. n. 74/2000, introdotto dal D.Lgs. n. 87/2024, e rubricato “Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione”, il quale prevede che la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi.

La Corte di Cassazione ha precisato che la nuova norma si riferisce alle sole sentenze di assoluzione perché “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso” emesse a seguito di dibattimento, con esclusione de: le sentenze di condanna; le sentenze di assoluzione e proscioglimento con una diversa formula (il fatto non costituisce reato, il fatto non è più previsto come reato, le formule di improcedibilità...); i provvedimenti di archiviazione; le sentenze di applicazione della pena (art. 444 c.p.p.); tutte le sentenze emesse a seguito di giudizio abbreviato.

Tali sentenze devono essere state inoltre pronunciate “sugli stessi fatti materiali” oggetto del giudizio tributario, intendendosi per “fatto” il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica, costituita dall’accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l’una e l’altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso.

Orbene i giudici di legittimità hanno precisato che l’art. 21 bis in questione, poi recepito nell’art. 119 T.U. della giustizia tributaria, si riferisce esclusivamente alle sanzioni tributarie e non all’accertamento dell’imposta, rispetto al quale la sentenza penale assolutoria ha rilievo come elemento di prova, oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice tributario unitamente agli altri elementi probatori introdotti nel giudizio.

Ciò significa che la suddetta norma è suscettibile di esplicare i suoi effetti in termini diretti esclusivamente con riguardo alla sanzione irrogata, mentre con riguardo all’imposta la valutazione della sentenza penale di assoluzione resta ancorata ai principi afferenti alla circolazione della prova.

L’incidenza del giudicato assolutorio penale sulla sola sanzione lascia inalterato il regime probatorio e la rilevanza della decisione penale sul rapporto d’imposta.

Più specificamente, per i profili sanzionatori occorre valutare se i fatti siano i medesimi e, quindi, in applicazione dell’art. 21 bis, riconoscere efficacia di giudicato alla sentenza penale di assoluzione; per l’accertamento dell’imposta, il giudizio, i criteri di ripartizione dell’onere della prova e la valutazione da parte del giudice restano soggetti agli ordinari criteri e principi che disciplinano il giudizio civile e tributario: la sentenza penale di assoluzione conserva la sua rilevanza nell’alveo dei principi della circolazione della prova ai sensi dell’art. 654 c.p.p. e art. 20 D.Lgs. n. 74/2000, quale prova, soggetta all’autonoma valutazione del giudice, da apprezzare insieme alle altre prove acquisite nel giudizio.

Applicando i sopra menzionati principi generali al caso di specie, la Corte di Cassazione ha escluso l’applicazione dell’art. 21 bis, atteso che la sentenza penale di assoluzione (perché il fatto non sussiste) era stata emessa dal GUP all’esito di giudizio abbreviato ex artt. 438 ss. c.p.p. e non in seguito a dibattimento.

La Corte ha sottolineato inoltre la necessità del giudice tributario di operare una valutazione autonoma riguardo al contenuto probatorio della sentenza penale, confrontandola con gli ulteriori elementi concreti acquisiti nel processo tributario (quali il processo verbale di constatazione). Nel caso specifico, la CTR aveva errato nell’accettare acriticamente la sentenza penale di assoluzione senza un approfondito esame dei presupposti della contestazione tributaria e dei documenti probatori, in particolare circa la natura fittizia del fornitore e la buona fede della contribuente.

In conclusione, ha accolto il ricorso e ha rinviato la sentenza alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente procedimento. Questa sentenza assume interesse in quanto conferma l’autonomia tra giudizio penale e giudizio tributario, escludendo una automatica trasposizione del giudizio penale favorevole all’imposizione fiscale e limitandone invece l’efficacia vincolante solo in materia sanzionatoria per le assoluzioni dibattimentali previste dall’art. 21 bis D.Lgs. n. 74/2000.

Il principio sancito impone al giudice tributario di valutare criticamente la sentenza penale e di integrare l’esame con gli elementi di prova specifica raccolti in sede tributaria.

e-mail: avv.mimmolardiello@gmail.com  
sito: www.studiolegalelardiello.it

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