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Non punibile il Direttore di testata giornalistica se la condotta rientra nell’alveo del diritto di cronaca

La Cassazione chiarisce i limiti della responsabilità del direttore ex art. 57 c.p.: non punibile se la pubblicazione rispetta diritto di cronaca e critica

Il parere legale

L’art. 57 costituisce una ipotesi di reato proprio che può essere commessa esclusivamente da quei soggetti che rivestono la qualifica di direttore o vicedirettore responsabile

La Suprema Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza sez. V, 23 aprile 2025, n. 15810 - nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui, contraddittoriamente, la sentenza aveva assolto il giornalista autore dell’articolo per non aver commesso il fatto e contestualmente, ritenendo diffamatorio il titolo e il sottotitolo non redatti dal giornalista, ma da un redattore rimasto ignoto, aveva affermato la responsabilità del direttore responsabile - ha ribadito che, ai fini della punibilità del direttore responsabile per la violazione dell’art. 57, c.p., ciò che effettivamente rileva è la percezione del lettore, ancorché non particolarmente attento, possa avere del contenuto complessivo della pubblicazione.

Ne consegue che la lesività non deve valutarsi con esclusivo riferimento a singoli elementi della pubblicazione, quali il titolo o le immagini, ma è da ravvisarsi nel contenuto che si evince complessivamente da tutti gli elementi della pubblicazione.
L’art. 57, c.p. sotto la rubrica «Reati commessi col mezzo della stampa periodica» punisce “salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso”, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati.

La punibilità è prevista, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo. Nell’attuale formulazione, introdotta con l’art. 1, L. 4 marzo 1958, n. 127, la norma sancisce una responsabilità per fatto proprio di natura omissiva del direttore o vice-direttore responsabile del giornale o di altro periodico per ogni reato commesso col mezzo della stampa (Delitala, Titolo e struttura della responsabilità penale del direttore per i reati commessi sulla stampa periodica, in RIDPP, 1956, 544; Grosso, Responsabilità penale per i reati commessi col mezzo della stampa, Milano, 1969, 85; Pagliaro, La responsabilità per i reati commessi col mezzo della stampa periodica secondo il nuovo testo dell’art. 57 c.p., in Scritti in onore di De Marsico, II, Milano, 1960, 241).

L’art. 57 costituisce una ipotesi di reato proprio che può essere commessa esclusivamente da quei soggetti che rivestono la qualifica di direttore o vicedirettore responsabile.

Trattasi di reato omissivo improprio, consistente nel non impedire, omettendo il necessario controllo, la commissione del reato per mezzo della pubblicazione. La fattispecie delittuosa di cui all’art. 57 sembra integrare un reato omissivo improprio sui generis. Ciò perché, mentre regola comune a tutti i reati commissivi mediante omissione è, come è noto, la loro derivazione dalla combinazione dell’art. 40, cpv. con la norma di parte speciale, al contrario, la fonte dell’obbligo giuridico sarebbe assorbita e tipicizzata nell’ambito della stessa norma incriminatrice.

Infatti, l’art. 57, descrivendo dettagliatamente la regola di diligenza che il direttore è tenuto ad osservare (un controllo tale da impedire che attraverso la stampa si commettano reati), fa sì che lo stesso dovere oggettivo di diligenza assorba in sé l’obbligo giuridico di impedire l’evento, caratterizzante i reati omissivi impropri. Nell’art. 57 si ha dunque una fattispecie complessa i cui elementi costitutivi sono un fatto colposo del direttore più un evento dato dal reato commesso dall’autore della pubblicazione.

L’art. 57 si applica solamente «fuori dei casi di concorso» fra il direttore responsabile e l’autore della pubblicazione. Presupposto è, dunque, l’assenza di un accordo fra i due, oppure comunque del dolo del direttore. Il concorso di persone fra il direttore responsabile e l’autore (concorso la cui presenza esclude l’applicabilità dell’art. 57) presuppone dunque o una condotta attiva (es. istigazione), oppure una condotta omissiva del primo, in violazione di un obbligo di impedimento della commissione di reati attraverso la pubblicazione, obbligo che compete al direttore in forza della sua qualifica (può dirsi, cioè, al riguardo, che egli assume la posizione di garante ex art. 40, cpv.).

Ciò che viene perseguito, in sostanza, è l’atteggiamento colpevole del direttore che, omettendo il controllo impostogli dalla legge, consente che il periodico finisca con il diventare lo “strumento” per la commissione di reati: l’evento del reato del direttore coincide con il reato di cui è chiamato a rispondere l’autore della pubblicazione; con la ovvia conseguenza che quello previsto dall’art. 57 non può configurarsi (“non sussiste”) ove venga accertato che nessun reato è stato commesso dall’autore dell’articolo, ovvero anche quando la condotta dell’autore della pubblicazione è scriminata essendo configurabili le scriminanti del diritto di cronaca e/o di critica (Cassazione penale, Sez. V, 12.6.1992).

Non sussiste però l’esimente del diritto di cronaca nei confronti del direttore responsabile di un quotidiano che abbia omesso il controllo sulla pubblicazione di un articolo che abbia, contrariamente al vero, affermato la notizia di un’indagine penale per corruzione nei confronti di un direttore della Motorizzazione civile indagato, invece, solo per abuso d’ufficio e successivamente prosciolto (Cassazione penale, Sez. V, 11 maggio 2012, n. 39503).

Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte d’appello aveva confermato la condanna del direttore responsabile di un quotidiano per il reato di cui all’art. 57 c.p. in relazione al contenuto del titolo e del sottotitolo di un articolo pubblicato e ritenuto lesivo dell’onore e della reputazione di un amministratore pubblico. In particolare, nel quotidiano era apparso un articolo in cui si utilizzavano espressioni quali “A., tutti i favori di C. agli amici” e “Le delibere del commissario dell’Autorità Portuale per favorire le società con le quali aveva lavorato. Su alcune, contestate dalla commissione interna, i magistrati di S. hanno acceso i riflettori”.

Contro la sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa del direttore del quotidiano, in particolare sostenendo l’erroneità nella misura in cui, accertata la fondatezza del contenuto dell’articolo e la sussistenza del conflitto di interesse in capo al C. - commissario straordinario dell’Autorità Portuale di A. -, assolveva il giornalista autore del medesimo per non aver commesso il fatto e contestualmente, ritenendo diffamatorio il titolo e il sottotitolo non redatti dal giornalista, ma da un redattore rimasto ignoto, affermava la responsabilità dell’imputato, nella sua qualità di direttore responsabile, ex art. 57 c.p.

La difesa evidenziava non solo come il titolo e il sottotitolo rispecchiassero fedelmente il contenuto dell’articolo, ma anche che il criterio di valutazione utilizzato dai giudici del merito ai fini dell’affermazione del carattere diffamatorio del titolo e del sottotitolo, per cui questi sarebbero stati idonei a fuorviare il lettore meno attento, doveva oramai ritenersi superato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo la quale bisogna avere riguardo alla percezione del lettore medio, che esamina anche il testo dell’articolo e di tutti gli elementi che concorrono a delineare il contesto della pubblicazione.

La Cassazione, nell’accogliere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, la S.C. non ha condiviso il percorso argomentativo compiuto dalla Corte d’appello, la quale, servendosi del criterio del lettore “frettoloso”, era giunta ad affermare la responsabilità penale dell’imputato ex. art. 57 c.p. per omesso controllo, in qualità di direttore responsabile, in relazione al ritenuto carattere diffamatorio del titolo e del sottotitolo.

Alla luce di tale principio, il fatto contestato, per i Supremi Giudici, non costituiva reato, atteso che nella redazione del titolo e del sottotitolo non erano ravvisabili elementi esorbitanti il legittimo esercizio del diritto di cronaca e di quello di critica, rappresentando con assoluta continenza delle espressioni verbali quanto argomentato all’interno dell’articolo, nella misura in cui si limitavano a sottolineare il nucleo centrale del contenuto dello stesso.

Il significato letterale, dunque, non era tale da fuorviare l’attenzione del lettore medio rispetto al contenuto dell’articolo, il quale, come accertato dalla stessa sentenza, aveva fondatamente esposto la situazione di conflitto d’interessi in cui si era trovata la persona offesa esposta nell’articolo e che era stata al più enfatizzata nella loro inevitabile sintesi dal titolo e dal sottotitolo.
E già la Corte d’appello aveva sostanzialmente e condivisibilmente riconosciuto che il suddetto articolo non eccedesse i limiti della menzionata esimente, riconoscendo la verità dei fatti narrati.

Da qui, dunque, l’accoglimento del ricorso.

e-mail: avv.mimmolardiello@gmail.com  
sito: www.studiolegalelardiello.it

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