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l'avvocato
07 Febbraio 2025 - 12:34
Il coinvolgimento dell’organo di controllo nelle condotte degli amministratori
I criteri in base ai quali può essere mosso un rimprovero di responsabilità penale ai sindaci nell’ambito del reato di bancarotta sono da tempo oggetto di attenta interpretazione, sia da parte della dottrina che dalla giurisprudenza. In particolare, il focus attiene in via principale al coinvolgimento dell’organo di controllo nelle condotte degli amministratori, nella forma dell’omesso impedimento dell’evento ex art. 40 cpv. c.p. La posizione dei sindaci viene dunque vagliata in questi casi in cui costoro non risulti siano debitamente intervenuti dinanzi alle irregolarità contabili e alle distrazioni patrimoniali commesse dagli amministratori, così omettendo di impedire il dissesto della società.
Non è sufficiente sostenere che sia mancato l’esercizio dei poteri di vigilanza e controllo da parte dell’organo, bensì è necessario dimostrare con rigore la sussistenza del noto nesso causale tra omissione ed evento. Assume dunque primaria evidenza argomentativa la prova che, ove non vi fosse stata alcuna omissione, l’evento non si sarebbe verificato. Se si pronunciasse una sentenza di condanna in assenza di tale dimostrazione, s’aprirebbero le porte al rischio di ritenere i sindaci penalmente responsabili solo in forza della loro posizione, e non in base al loro concreto apporto causale alla condotta criminosa, seppur in forma omissiva.
I Giudici di Legittimità, con la Sentenza che si pone in evidenza, percorrono dunque la più corretta applicazione dei princìpi di colpevolezza e personalità della responsabilità penale, negando in radice l’ingresso a ipotesi di responsabilità oggettiva nello statuto penale della bancarotta ma specificando, quanto alle condotte omissive, che in tanto sussiste la responsabilità penale in quanto si verifica la possibilità di riscontrare condotte omissive causalmente collegate all’intervenuto dissesto della Società.
Con la Sentenza il cui commento di seguito si propone, la Corte di cassazione, Sezione quinta, si è dunque pronunciata sulla responsabilità del Collegio sindacale per la fattispecie di bancarotta semplice (art. 323, codice della crisi d’impresa) per omesso impedimento del dissesto della società.
Al presidente e agli altri membri del Collegio sindacale di una società a responsabilità limitata era contestato di avere «aggravato il dissesto omettendo, nonostante il valore negativo del patrimonio societario, di esercitare i loro doveri di vigilanza e di procedere, segnatamente, alla convocazione dell’assemblea».
Secondo il pronunciamento impugnato «l’organo di controllo, pur riscontrando la sussistenza dei presupposti operativi indicati nell’art. 2447 cod. civ., si sarebbe limitato ad invitare gli amministratori ad eseguire l’aumento di capitale, senza rilevarne l’inadempimento e senza procedere alla diretta convocazione dell’assemblea e alla parallela segnalazione delle gravi irregolarità commesse dall’organo amministrativo. Omissioni che, permettendo la prosecuzione dell’attività economica pur in presenza di un patrimonio netto sensibilmente negativo, avrebbero contribuito ad aggravare il preesistente stato di dissesto».
La Corte ha rigettato il ricorso dei difensori, ritenendo logica e fondata tale conclusione.
I Giudici di legittimità hanno anzitutto dato atto che «il controllo sindacale, in quanto posto a tutela degli interessi dei soci e di quello (preminente) dei creditori e pur non potendo investire in forma diretta le scelte imprenditoriali, non si esaurisce in una mera verifica formale o in un riscontro contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori: deve necessariamente sostanziarsi nell’oggettivo riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione ed estendersi al contenuto della gestione sociale e alla conseguente verifica di conformità delle scelte degli amministratori ai canoni d’una buona amministrazione e della loro compatibilità con i fini propri della società».
Muovendo da questi presupposti, la Corte ha affermato che «ove nell’esercizio dei suoi poteri di controllo e di vigilanza abbia conoscenza di condotte illecite degli amministratori, il sindaco ha il dovere di intervenire per impedirne la realizzazione. E la relativa omissione determina la sua responsabilità a titolo di concorso nel reato eventualmente commesso dall’amministratore, ove l’esercizio dei poteri conoscitivi riconosciuti ai sindaci avrebbe condotto questi ultimi a conoscere delle irregolarità contabili e, conseguentemente, ad attivare le (doverose) procedure di segnalazione (esterna ed interna) e di inibizione che il legislatore ha messo a disposizione».
Da ultimo, la Corte ha delineato gli specifici poteri-doveri d’iniziativa che fondano la posizione di garanzia dei sindaci e, nel caso restino omessi, la loro responsabilità penale: «il dovere di convocare l’assemblea ed eseguire le pubblicazioni prescritte in caso di omissione da parte degli amministratori (art. 2406 cod. civ.); quello di chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale sociale obbligatoria per legge, ove l’assemblea non vi provveda e gli amministratori restino inerti (artt. 2357, 2359-ter e 2446 cod. civ.); quello di promuovere l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori (2393 cod. civ.) e di sollecitare il controllo giudiziario sulla gestione (2409 cod. civ.)».
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