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L'Avvocato
11 Dicembre 2024 - 05:58
Bancarotta fraudolenta documentale
L’assunzione meramente formale con delega delle funzioni sostanziali, della carica di amministrazione di una società non consente l’automatica esenzione dell’amministratore per i reati previsti dall’art. 216, comma 1, n. 2), 217, comma 2 e 220 l. Fall., atteso che questi e non altri è il diretto destinatario dell’art. 2392 c.c., dell’obbligo relativo alla regolare tenuta e conservazione dei libri contabili.
Questo è quanto emerge dalla sentenza 24 ottobre 2024, n. 38896 della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione. Il caso vedeva un uomo, in qualità di amministratore unico di un Consorzio dichiarato fallito, essere dichiarato responsabile, in concorso con un amministratore di fatto, del reato di bancarotta fraudolenta documentale per avere sottratto libri e documentazione contabile comprensive di fatture su cui si fondavano consistenti crediti, in modo da impedire il recupero di qualsivoglia utilità, pur a fronte della cospicua esposizione debitoria. Con ricorso per cassazione l’uomo lamenta che i giudici del merito non avrebbero condiviso la tesi difensiva circa il ruolo rivestito dall’imputato, di mera “testa di legno”, stante la marginalità del medesimo ruolo assunto; secondo certa tesi giurisprudenziale, inoltre, con riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale, si esige, ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’amministratore di diritto, al di là del puro dato formale di tale qualifica, la prova dell’effettività del ruolo svolto da quest’ultimo.
Secondo l’assunto prospettato con i motivi di ricorso, la carica di amministratore formale non sarebbe di per sé sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza, essendo necessaria, a tal fine, la dimostrazione della consapevolezza dello stato delle scritture. Secondo gli ermellini l’infondatezza del ricorso parte innanzitutto da una errata applicazione della tesi giurisprudenziale invocata dalla difesa al fine di contestare le valutazioni dei giudici del merito in merito alla sussistenza del dolo di bancarotta fraudolenta documentale, in quanto quella giurisprudenza muoveva dal presupposto che il reato fosse imputato all’amministratore formale che si rivelava essere, in realtà, un mero prestanome degli effettivi gestori della società fallita, mentre nella fattispecie la posizione del ricorrente è diversa, non essendo possibile attribuirgli la qualifica di mera “testa di legno”.
Detto ruolo era stato correttamente escluso in quanto l’Agenzia delle entrate, pur indicando l’amministratore di fatto quale referente del gruppo facente capo al fallito Consorzio, oltre che soggetto ispiratore dell’illecita operazione, non aveva escluso la responsabilità degli amministratori delle singole cooperative; tra gli amministratori delle singole cooperative figurava anche il ricorrente, non solo quale amministratore unico del Consorzio ma anche quale amministratore di una delle cooperative confluite nel medesimo Consorzio. Ciò premesso, i giudici del merito avevano valorizzato una serie di attività, svolte dal ricorrente, che sottendono in maniera univoca sia la generica consapevolezza della natura illecita di condotte distrattive poste in essere dall’amministratore di fatto, richiesta dalla giurisprudenza ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore di diritto nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, sia la violazione dei doveri di vigilanza sull’operato dei delegati o degli amministratori di fatto dell’amministratore di diritto, qualora quest’ultimo deleghi ad altri in concreto la tenuta della contabilità o comunque consenta che altri assumano di fatto la gestione della società (Cass. Pen., Sez. V, 30 novembre 2020, n. 36870).
Deve, poi, ritenersi pacifico che l’assunzione solo formale della carica gestoria non consenta l’automatica esenzione dell’amministratore per i reati previsti dall’art. 216, comma 1, n. 2), 217, comma 2 e 220 l. Fall., atteso che questi e non altri è il diretto destinatario dell’art. 2392 c.c., dell’obbligo relativo alla regolare tenuta e conservazione dei libri contabili e dunque, quale diretta conseguenza, qualora l’amministratore “pro forma” deleghi ad altri in concreto la tenuta della contabilità o comunque consenta che altri assumano di fatto la gestione della società, egli non è affatto esonerato per il sol fatto di non aver assunto materialmente lui l’onore di tale attività, dal dovere di vigilare sull’operato dei delegati o degli amministratori di fatto e, conseguentemente, dalla responsabilità penale, ex art. 40, comma 2, c.p., ove tale obbligo, previsto dalla Legge, trovasse nella condotta del delegato profili omissivi rispetto al buon assolvimento delle mansioni a lui demandate.
Nel caso in cui il ricorrente fosse stato mera “testa di legno”, in quanto rivestito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita, così come rinvenibile nella tesi difensiva prospettata, la sua responsabilità per il reato contestato (ovvero bancarotta fraudolenta documentale, per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili) risulterebbe comunque provata, posto che in tema di bancarotta fraudolenta, con riguardo a quella documentale per sottrazione o omessa tenuta delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita, atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture (Cass. Pen., Sez. V, 26 settembre 2018, n. 54490).
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