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L'Avvocato
09 Ottobre 2024 - 06:38
Farmacia - archivio
In tema di reati contro la persona, integra il reato di lesioni personali colpose la somministrazione di farmaci “off label”, cioè utilizzati per scopi diversi da quelli consigliati, senza alcuna valutazione del rapporto tra costi e benefici, senza adeguata valutazione clinica, senza ricetta, al di fuori dei canoni previsti dalla L. n. 94/98 e del Codice deontologico e da soggetto che, essendo farmacista, non era neanche abilitato a somministrarli, ove l’impiego degli stessi da parte del cliente determini l’insorgenza di una malattia ricollegabile causalmente al farmaco somministrato.
Nel caso in esame, la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, ha statuito in senso conforme a quanto stabilito dal Tribunale, il quale aveva pronunziato sentenza di condanna a carico di un farmacista che aveva somministrato ad una sua cliente farmaci da lui stesso preparati per finalità prettamente estetiche, promettendo alla cliente, a seguito dell’assunzione, un rapido dimagrimento. La donna, a causa dell’assunzione, aveva progressivamente iniziato ad accusare malesseri di varia natura, fino al punto di essere ricoverata in ospedale.
La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva secondo cui non vi sarebbe stata prova certa della esistenza di un rapporto causale tra la somministrazione dei farmaci e le conseguenze derivate attesa la mancata corrispondenza tra il contenuto delle pasticche somministrate e quanto riportato sul flacone, ha confermato la sentenza, osservando come i farmaci somministrati alla donna erano direttamente preparati e confezionati dall’imputato, risultando del tutto congetturale e peraltro priva di giustificazione logica l’ipotesi della mancata corrispondenza tra la composizione delle pasticche e quanto indicato sul contenitore. La Corte di Cassazione dunque ha statuito in merito ad una questione giuridica già oggetto di precedenti pronunce, afferente in particolare alla configurabilità del reato di lesioni personali colpose a carico di soggetti, come nella specie i farmacisti, che somministrino farmaci c.d. off-label, ossia per scopi diversi da quelli consigliati.
La vicenda processuale segue alla sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale con la quale l’imputato, in qualità di farmacista, era stato ritenuto responsabile del reato di lesioni personali colpose ai danni di una cliente. La parte lesa si era dunque rivolta al farmacista, noto anche per l’esercizio di fatto dell’attività di dietologo, per intraprendere una dieta, il quale le assicurava che le avrebbe dato “un codice bello forte” che le avrebbe consentito un rapido dimagrimento. In quell’occasione non venne fatta alcuna visita medica, né vennero ordinate analisi di laboratorio né venne stilata la classica dieta con l’indicazione dei pasti e delle relative quantità.
Il trattamento dimagrante era costituito unicamente dalla somministrazione di pillole preparate dallo stesso farmacista, la cui confezione costava circa euro 250,00 e che dovevano essere assunte prima dei pasti principali (quattro al mattino, quattro prima di pranzo e quattro prima di cena); tali pillole, a detta del farmacista, avrebbero eliminato le calorie introdotte con il cibo ed avrebbero assicurato il dimagrimento a prescindere da ciò che la paziente mangiava. Sin da subito la donna avvertiva una totale perdita dell’appetito, una continua sete nonché conati di vomito ed un senso di spossatezza che limitava notevolmente la qualità di vita al di là del dimagrimento registrato. Contattato il farmacista e rappresentatigli i disturbi, lo stesso comunque indicava di continuare la cura. I sintomi venivano interessati da peggioramento e ciò in quanto, oltre alla perdita di appetito ed alla sete, erano aumentati dissenteria e vomito che si manifestavano anche alla guida ed era subentrata una paralisi agli arti inferiori che si era poi estesa alle mani e perfino alla testa; inoltre, si erano verificati l’interruzione del ciclo mestruale e la perdita dei capelli che costringevano la donna a ricorrere ad una parrucca.
A distanza di 4 mesi dall’inizio della “cura”, la donna veniva ricoverata in una Clinica da dove il giorno dopo, stante la gravità della situazione veniva trasferita all’Ospedale dal quale veniva dimessa dopo un paio di settimane di degenza. Nel successivo mese di settembre si recava per una consulenza da un medico il quale, dopo aver visionato la cartella clinica, esprimeva le sue valutazioni che poi confluivano nella sua relazione tecnica. I giudici di merito ravvisavano la sussistenza del nesso di causalità tra il trattamento somministrato e le lesioni patite. Contro la sentenza proponeva ricorso per Cassazione la difesa, in particolare sostenendo per quanto qui di interesse, che non era stato effettuato alcun esame sul contenuto delle pasticche essendosi basati i consulenti alle sostanze riportate sul flacone.
La Suprema Corte, nel disattendere i motivi di doglianza e nel rigettare dunque i motivi di ricorso proposti dalla difesa dell’imputato, ha sul punto affermato che la mancata corrispondenza tra il contenuto delle pasticche somministrate e quanto riportato sul flacone era una circostanza meramente ipotizzata e priva di ogni riscontro probatorio; i farmaci somministrati alla donna erano direttamente preparati e confezionati dal farmacista. Da tale assunto dunque, la conferma in via definitiva della condanna, ivi comprese le statuizioni civili, con relativo accoglimento delle richieste risarcitorie, da liquidarsi in separata sede quanto alla loro più precisa entità.
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