Cerca

Cerca

L'Avvocato

Il sequestro di beni in caso di sottrazione fraudolenta di imposte

Il sequestro preventivo del profitto del reato può avvenire solo nelle forme del sequestro “per equivalente”

Il sequestro di beni in caso di sottrazione fraudolenta di imposte

Il sequestro di beni in caso di sottrazione fraudolenta di imposte

La vicenda affrontata dalla Cassazione nella sentenza che disciplina un emblematico caso in materia di sequestro per sottrazione fraudolenta di imposte, riguarda un decreto di sequestro preventivo, parzialmente riformato dal Tribunale del riesame di Bologna, disposto su alcuni beni nell’ambito di un articolato procedimento penale relativo ai delitti di bancarotta distrattiva e di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.

Secondo la Procura gli indagati, due coniugi proprietari di una pizzeria, unitamente ad altri familiari, gestivano una serie di società operanti in successione tra loro, secondo uno schema fraudolento che prevedeva di non versare al fisco quanto dovuto e, prima che l’accertamento tributario divenisse esecutivo, l’azienda-pizzeria veniva trasferita ad altra società, di modo che la prima, indebitata gravemente, finiva in decozione, svuotata del ramo d’azienda produttivo e del denaro. Il GIP del Tribunale di Bologna aveva convalidato il sequestro delle quote di tutte le società oggetto del provvedimento cautelare d’urgenza ed anche dei tredici immobili di proprietà della moglie dell’imprenditore, acquistati, secondo l’accusa, tra il 2003 ed il 2017 con il profitto del reato di sottrazione al pagamento delle imposte e con i proventi dei reati di bancarotta.

Tra gli altri beni attinti dal provvedimento di sequestro vi erano anche i conti correnti delle suddette società e quelli intestati sempre alla moglie. Il Tribunale del Riesame di Bologna aveva annullato in parte l’ordinanza, relativamente agli immobili acquistati prima del 21.1.2010, poiché ritenuti non collegabili da vincolo di pertinenzialità e frutto di acquisto verosimilmente lecito. Inoltre, altri immobili erano stati dissequestrati dal Tribunale del Riesame, accogliendo la tesi difensiva del loro acquisto lecito tramite l’utilizzo di alcune elargizioni di danaro che l’indagata aveva ricevuto dal padre. Avverso il provvedimento del Tribunale del Riesame hanno proposto ricorso per cassazione sia il pubblico ministero che gli indagati, questi ultimi affidandosi a quattro motivi di ricorso, tre dei quali ritenuti fondati dalla Suprema Corte. Tra questi, in particolare, per l’interesse dell’argomento trattato, merita un approfondimento il terzo motivo, con il quale il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 321 c.p.p., avendo il sequestro preventivo aggredito direttamente le utilità mediate, ovvero gli immobili, ed ancora, avendo esteso il concetto di profitto del reato al “profitto del risparmio di spesa”. È noto, infatti, che le Sezioni Unite hanno escluso nei reati tributari la confisca diretta del profitto del reato (costituito dal mancato pagamento delle imposte dovute).

In simili casi, il sequestro preventivo del profitto del reato può avvenire solo nelle forme del sequestro per equivalente, in quanto il vantaggio derivante dal reato consiste in un’entità contabile immateriale. Secondo la sentenza in rassegna, l’ordinanza del riesame avrebbe errato nell’identificare il profitto del reato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, confiscabile anche per equivalente, con il risparmio di spesa derivante dall’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, con cui sarebbero stati acquistati gli immobili di proprietà della moglie dell’imprenditore. Al contrario, il profitto del reato coincide con il patrimonio sottratto alla garanzia dell’Erario, e non con il debito tributario evaso costituito dalla somma di denaro (o dall’attività patrimoniale) la cui sottrazione all’Erario viene perseguita dall’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti. Infatti, “Il profitto del reato di cui all’art. 11 d.lg. n. 74 del 2000 va individuato non nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto ma nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui l’Erario ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo della fattispecie, attraverso l’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere” (Cass. pen., Sez. III, 06 maggio 2015, n.40534).

Infatti, secondo il costante orientamento della Corte di legittimità, il profitto del reato di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, confiscabile anche nella forma per equivalente, va individuato nella “riduzione simulata o fraudolenta” del patrimonio del soggetto obbligato e, quindi, consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase (così Cass. pen., sez. III , 22 gennaio 2015, n. 10214). Questa ricostruzione, avallata dalla costante giurisprudenza di legittimità, è coerente con la natura di reato di pericolo del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti posti in essere per occultare beni propri o altrui, ed idonei a pregiudicare, attraverso una valutazione “ex ante”, l’attività recuperatoria dell’amministrazione finanziaria, il cui profitto va individuato, pertanto, nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione viene perseguita dall’Erario.

avv.mimmolardiello@gmail.com 
www.studiolegalelardiello.it

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Buonasera24

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Termini e condizioni

Termini e condizioni

×
Privacy Policy

Privacy Policy

×
Logo Federazione Italiana Liberi Editori