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L'Avvocato
17 Settembre 2023 - 06:59
Offese sui social
Rischia una condanna per stalking chi minaccia sui social. A questa importante conclusione è giunta la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 16254 del 17 aprile 2023 ha confermato un anno e sei mesi di reclusione a carico di una donna che pubblicava quotidianamente post intimidatori. Il reato di atti persecutori – detto stalking – consiste, come noto, nella persecuzione della vittima che, come conseguenza, vive angosciata, provando ansia e paura ed in ragione di queste deve modificare le proprie abitudini di vita. Sotto il profilo psicologico è sufficiente il dolo generico, ossia la volontà di porre in essere condotte minacciose o moleste, con la consapevolezza della loro idoneità a produrre taluno degli eventi descritti nell’art. 612 bis c.p.
La Corte di Cassazione, con sentenza n.16257 del 17 aprile 2023, ha confermato la condanna inflitta in primo e secondo grado (ad un anno e sei mesi di reclusione per i delitti di atti persecutori e diffamazione) nei confronti di un’imputata che sui social aveva pubblicato post offensivi ed intimidatori nei confronti di una donna e, precisamente di una consulente di un Giudice. L’imputata aveva persino scritto che la persona offesa era “collusa con la mafia”. La Suprema Corte ha innanzitutto sottolineato “il dato oggettivo della riferibilità alla donna dei post e articoli aventi come bersaglio la professionista”. La Cassazione ha, poi, specificato come il reato di “atti persecutori” possa integrarsi non solo attraverso la più comune casistica individuata in pedinamenti e appostamenti, ma anche con la pubblicazione di continui post intimidatori pubblicati sui social come Facebook o Instagram, capaci per il loro volume e la loro reiterazione di incidere sulla quotidianità di vita della parte lesa. Più precisamente le pubblicazioni sui social – tenuto conto che l’imputata postava con cadenza quasi quotidiana – integrano stalking, in relazione alla loro “virulenza e ossessiva ripetitività”.
Va ricordato come in passato, con riguardo ad un’ipotesi di stalking via social, la Cassazione avesse sostenuto che il mutamento delle abitudini di vita può consistere anche solo nella sospensione di un account social oppure nel bloccare alcuni contatti. Inoltre, secondo gli Ermellini integra l’elemento materiale del delitto di atti persecutori la condotta di chi reiteratamente pubblica sui “social network” foto o messaggi (o anche video) aventi contenuto denigratorio della persona offesa – con riferimento alla sfera della sua libertà sentimentale e sessuale – in violazione del suo diritto alla riservatezza (Cass. pen. n. 26049/2019). Secondo la Corte sussisteva nel caso di specie anche il delitto di diffamazione, che, qualora consumato attraverso la pubblicazione di post sui social, assurge al rango di diffamazione aggravata e ciò in quanto la condotta, ormai da tempo, considerata all’interno del perimetro della ipotesi a mezzo stampa. Nel caso analizzato dalla Cassazione nella recente sentenza, le parole dell’imputata hanno superato il “limite della continenza”, limite immanente all’esercizio del diritto di critica. In particolare, in tema di diffamazione l’esercizio del diritto di critica, necessario per l’interesse pubblico della notizia oppure dalla funzione esercitata dal soggetto criticato, non può in alcun modo estrinsecarsi attraverso espressioni denigratorie.
E le affermazioni dell’imputata non sono state soltanto “pungenti”, “forti e incisive”, come sostenuto dalla difesa nel ricorso, ma indubbiamente lesive della reputazione del destinatario. Dunque occorre prestare attenzione a ciò che si scrive sui social o nelle chat per evitare di incorrere in procedimenti penali per diffamazione, stalking o minacce. In caso di offese e minacce ripetute potrebbero essere contestati sia lo stalking, che la diffamazione (aggravata), alla luce della recente sentenza pronunciata dalla Cassazione.
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