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L'Avvocato
23 Luglio 2023 - 06:22
La sede della Cassazione
La sentenza in esame appare di indubbio interesse, poiché evidenzia una possibilità di ricorrere per cassazione per profili sostanziali e non meramente procedurali, purché il sindacato della Corte di legittimità si limiti, appunto, a conoscere e valutare l’offensività delle frasi lesive della altrui reputazione così da premettere di valutare la sussistenza o meno della materialità della condotta di diffamazione e la portata concretamente offensiva delle frasi ritenute diffamatorie. Una persona veniva tratta a giudizio in ordine al reato di diffamazione posto in essere rispondendo ad una email indirizzata a lei e ad altri soggetti.
Nello specifico, all’imputata, che era funzionario amministrativo di un Ateneo universitario, veniva contestato il tenore diffamatorio dell’espressione: “E pertanto risulta incomprensibile il contenuto ed il tono della Sua comunicazione, del tutto in linea, spiace dire, con la condotta e le azioni perpetrate a mio danno dalla Sua persona nell’ultimo periodo”, rivolta al Direttore generale dell’Università e contenuta nella replica ad una pregressa comunicazione ricevuta dallo stesso Direttore generale dell’Ateneo.
In primo grado il Giudice di Pace condannava l’imputata in ordine al reato contestato, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, e la condanna veniva poi confermata anche in grado di appello avanti al Tribunale. Ricorreva dunque in cassazione l’imputata, contestando, tra gli altri motivi, il vizio di violazione di legge in riferimento agli artt. 51 e 595 c.p., nonché all’ art. 533 c.p.p., lamentando l’insussistenza del reato in ragione del fatto che l’imputata si era limitata a replicare ad una precedente comunicazione della parte civile, impropria quanto al contenuto ed ai termini utilizzati, destinando la propria emali agli stessi soggetti a cui era stata indirizzata la comunicazione originaria della parte civile e, in ogni caso, con toni e contenuti consoni al legittimo esercizio del diritto di critica e di replica.
I giudici di legittimità sul punto, nella sentenza di annullamento senza rinvio, hanno evidenziato come le dichiarazioni rese dall’imputata risultino pacificamente espressione del diritto di critica e di replica. Infatti, in conformità del principio secondo cui in materia di diffamazione il sindacato di Cassazione consente di conoscere e valutare l’offensività delle frasi lesive della altrui reputazione, giacché è compito del giudice di legittimità vagliare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata nonché la portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, la Suprema Corte rileva che, nel caso di specie, la frase contestata all’imputata si inserisca in una fisiologica interlocuzione in ambito lavorativo, derivante da una diversa e comunque lecita interpretazione dei compiti svolti dalla funzionaria. In tal senso, i giudici di legittimità evidenziano che, come la persona offesa aveva legittimamente ritenuto di dolersi per il ruolo a suo giudizio improprio che il funzionario aveva svolto esprimendo valutazioni non opportune, altrettanto legittimamente l’imputata aveva ribattuto lamentando pregressi comportamenti del Direttore generale dell’Ateneo nei suoi confronti, utilizzando espressioni del tutto ragionevoli e non certamente aggressive, irrispettose o inutilmente virulente od acrimoniose. Invero, in un contesto lavorativo connotato da legittime e per nulla inusuali divergenze, l’affermazione della ricorrente oggetto del capo di imputazione rappresenta una legittima esplicazione del diritto di critica e di replica, considerando che la frase proferita non presenta gratuità od eccessività e, pertanto, si pone nel pieno rispetto del principio della continenza verbale.
Per tali ragioni la Suprema Corte ha conclude per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste, con conseguente revoca delle statuizioni civili.
Avv. Mimmo Lardiello
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