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L'Avvocato
09 Luglio 2023 - 06:20
Bancarotta fraudolenta
Al fine di meglio illustrare il principio di diritto richiamato, appare utile esaminare, tra le tante, la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 29850 del 26 luglio 2022, pronunciatasi in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, con l’aggravante dei “più fatti” di cui all’art. 219 co. 2 L.F. Il caso è giunto all’attenzione della Suprema Corte sull’impugnazione proposta dagli imputati della sentenza di condanna resa dalla Corte d’Appello di Ancona, la quale aveva confermato (salvo rideterminazione della pena) la pronuncia di primo grado del Tribunale del medesimo capoluogo.
Nel rigettare i ricorsi, la Suprema Corte prende le mosse dal richiamo dei già espressi principi sia riguardo la configurazione della bancarotta fraudolenta patrimoniale quale reato di pericolo sia sulla ricerca degli “indici di fraudolenza” ai fini dell’accertamento dell’elemento oggettivo e del dolo generico. Sempre in punto di elemento oggettivo e con specifico riferimento all’aspetto probatorio, merita indubbiamente menzione il riferimento di cui alla sentenza in questione “ai principi accreditati dalla giurisprudenza prevalente in tema di prova della bancarotta per distrazione, attestati sulla affermazione secondo cui ben puo’ operare il meccanismo della presunzione dalla dolosa distrazione, rilevante, ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., al fine di affermare la responsabilità dell’imputato, nel caso di un ingiustificato mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e valori societari, a condizione che sia accertata la previa disponibilità, da parte dell’imputato, di detti beni o attivita’ nella loro esatta dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione”.
A questo punto, i Giudici di Piazza Cavour sono passati all’analisi dell’elemento soggettivo, così esordendo: “si ritiene che non sono necessari, per la sussistenza del dolo generico, la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, richiedendosi piuttosto che oggetto di consapevolezza sia, in relazione alla concreta situazione della società, l’incidenza dell’atto distrattivo sulle prospettive di soddisfacimento concorsuale dei creditori”. Posto ciò ma con diretta rilevanza ai fini della decisione, la Suprema Corte ha poi proseguito richiamato altri precedenti pronunce tra cui la sentenza n. 38396 del 2017: “la casistica giurisprudenziale consegna, non sporadicamente, casi in cui la fattispecie concreta dà conto, in termini di immediata evidenza dimostrativa (e al di fuori di qualsiasi logica presuntiva), della “fraudolenza” delle disposizioni patrimoniali e, dunque, non solo dell’elemento materiale, ma anche del dolo del reato in esame: ciò in ragione dei più vari fattori, quali, ad esempio, il collocarsi del singolo fatto in una sequenza di condotte di spoliazione dell’impresa poi fallita ovvero in una fase di già conclamata decozione della stessa”.
Sulla scorta di tali premesse, la stessa Suprema Corte ha ritenuto quali “indici di fraudolenza” gli ingenti prelievi, la vendita sottocosto di rami d’azienda, incassi non versati ed anomale gestioni di importi rilevanti: operazioni poste in essere quando era già palese il dissesto economico e finanziario dell’azienda. Indici di fraudolenza su cui, a detta dei Giudici di Piazza Cavour, correttamente aveva la Corte d’Appello ritenuto sussistente “la consapevolezza di porre in essere attività distrattive di consistente rilievo economico - e dunque necessariamente depauperative della garanzie del ceto creditorio - in un momento di crisi economica gia’ conclamata”.
Avv. Mimmo Lardiello
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