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L'Avvocato

È responsabile di maltrattamenti l’insegnante che compie atti di vessazione nei confronti degli alunni

Il parere dell'avvocato sulla base della giurisprudenza

Aula scolastica

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In relazione ad un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta ad un insegnante per il reato di maltrattamenti, la Corte di Cassazione penale, Sez. VI, con la sentenza 17 maggio 2023, n. 21111 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui non era configurabile il reato per non essersi manifestato nei bambini uno stato di timore, soggezione o anche soltanto prostrazione, non soltanto transitorio ed occasionale, per effetto dell’altrui comportamento abitualmente vessatorio e prevaricante - ha affermato il principio secondo cui in presenza di condotte obiettivamente maltrattanti, perché caratterizzate da violenza fisica o psichica, da eccessiva aggressività verbale o, comunque, da connotazione umiliante per la vittima, il reato si configura anche nel caso in cui quest’ultima, in ragione del suo insufficiente grado di maturità psichica, non le percepisca come lesive della sua personalità e, di conseguenza, non manifesti reazioni sintomatiche da stress post-traumatico.

Preliminarmente vale osservare che l’art. 572 c.p., sotto la rubrica «Maltrattamenti contro familiari e conviventi”, punisce con la reclusione da tre a sette anni la condotta di chiunque, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità, ovvero se il fatto è commesso con armi. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti si considera persona offesa dal reato. La Giurisprudenza individua dunque un minimo comun denominatore da rinvenirsi nelle condotte in esame, dato dalla esistenza di un rapporto di condizionamento fisico o morale in cui le vittime devono a trovarsi e che le espone al rischio di quei danni in cui consiste il contenuto di offesa di tale reato. Il reato si configura nell’ambito del rapporto di un lavoro subordinato, di natura para-familiare, caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole in quello che ricopre la posizione di supremazia il quale, a sua volta, esercita il potere direttivo o disciplinare rendendo ipotizzabile una condizione di soggezione, anche solo psicologica, del soggetto passivo. Quanto al contesto scolastico, la giurisprudenza è particolarmente rigorosa, essendosi affermato che gli atti di violenza esercitati da un’insegnante di scuola materna nei confronti di infanti di tre anni devono essere qualificati come maltrattamenti in famiglia e che, ancora, il compimento sistematico di atti di natura vessatoria integra il reato previsto dall’art. 572 anche qualora le condotte dell’agente siano sorrette da un intento educativo o animate da spirito “di protezione”. Il reato di maltrattamenti è inoltre stato ritenuto configurabile in caso di comunicazione fisica e violenta in ambiente scolastico.

Nel caso preso in esame nella Sentenza segnalata, la Corte territoriale aveva confermato la condanna per il delitto di maltrattamenti, contestato ad un insegnante per aver tenuto abitualmente condotte violente, minacciose ed umilianti nei confronti di diversi bambini, affidati al medesimo nella sua qualità di insegnante presso una scuola dell’infanzia. Ricorrendo in cassazione, la difesa ne sosteneva l’erroneità, in particolare dolendosi della contraddittorietà in più punti della motivazione, ovvero là dove parlava di esclusività della condotta violenta dell’insegnante verso i bambini, ma poi dava atto dei momenti in cui l’insegnante si mostrava accudente verso costoro; come pure quando riferiva di manifestazioni di paura e disagio di questi ultimi, ma attestava che gli stessi, dopo alcuni episodi, riprendevano tranquillamente le loro occupazioni ed apparivano affettuosi verso l’insegnante. La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha osservato come dagli atti emergessero comportamenti oggettivamente violenti, minacciosi, umilianti, ripetutamente tenuti dall’insegnante verso i bambini affidati.

Nello specifico, la Cassazione ha escluso che la tesi difensiva potesse avere rilievo nel punto in cui contestava la configurabilità del delitto di maltrattamenti, per non essersi manifestato nei bambini uno stato di timore, soggezione od anche soltanto prostrazione, non soltanto transitorio ed occasionale, per effetto dell’altrui comportamento abitualmente vessatorio e prevaricante. La doglianza è stata ritenuta infondata, anzitutto in fatto, poiché la sentenza dava atto di reazioni disperate dei bambini alle condotte violente della maestra, di moti di pianto nonché di comportamenti consolatori da parte dei loro compagni, come pure di contegni violenti tenuti tra loro, ad imitazione di quelli messi in atto dal loro insegnante. E correttamente la Corte d’appello aveva ravvisato in tali manifestazioni gli indici di una condizione di acuto disagio di costoro, ancorché da essi non elaborata e rappresentata come tale all’esterno, in ragione della loro tenerissima età. Da qui, pertanto, il rigetto del ricorso.

 

Avv. Mimmo Lardiello
avv.mimmolardiello@gmail.com

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