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Chirurgo non colpevole se manifesta dissenso da operato degli altri componenti dell'equipe

Una equipe medica - archivio

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Una recente pronuncia della quarta sezione penale della Cassazione in tema di cooperazione colposa nella morte di un paziente, ha nuovamente trattato il tema della scriminante del dissenso manifestato dal medico d’équipe in relazione all’operato degli altri componenti. Il medico è investito di una posizione cosiddetta di “garanzia” che supera il ristretto perimetro delle proprie mansioni, e il cui obbligo di diligenza per essere correttamente assolto deve riguardare anche il controllo sull’operato e gli errori altrui. Il caso sottoposto al vaglio della Corte (sentenza n. 16094/2023) riguardava proprio l’addebito colposo mosso a un dirigente medico, mansione equivalente a quella del collega e quindi titolare di analoga posizione di garanzia. L’ipotesi di reato verteva proprio sull’efficacia e la sussistenza del dissenso rispetto a scelte terapeutiche non condivise dal collega. La fattispecie riguarda un caso di cooperazione colposa di più medici, intervenuti in momenti diversi nella cura del paziente, ai quali viene ascritta la scelta di aver colposamente atteso il giorno per intervenire e risolvere chirurgicamente la complicanza verificatasi in seguito al precedente intervento operatorio. Il decesso della paziente, in seguito agli accertamenti effettuati in sede di accertamento autoptico, veniva ascritto ad un ritardo nell’effettuazione del secondo intervento chirurgico. Era stato dimostrato, infatti, che una condotta alternativa attiva avrebbe consentito con ragionevole ed elevato grado di probabilità, prossimo alla certezza tecnica, di contrastare la peritonite in atto, rimuovendo chirurgicamente le cause della medesima. La questione oggetto della censura ha riguardato quindi la sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta ascrivibile a ciascun sanitario e l’evento morte. Nell’ambito dell’attività medica e della c.d. “responsabilità di équipe”, da intendersi con tale espressione non solo l’attività strettamente chirurgica in sala operatoria, ma anche quella situazione in cui più medici si occupano in successione dello stesso paziente, il principio di affidamento consente di confinare l’obbligo di diligenza del singolo sanitario entro i limiti compatibili con l’esigenza del carattere personale della responsabilità penale, in virtù dell’art. 27 della Costituzione. Infatti, il titolare di una posizione di garanzia che è tenuto ad impedire che si verifichi l’evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva altrui, contitolare di una posizione di garanzia. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha confermato l’esistenza di chiari limiti all’applicazione di tale principio, laddove varie e specifiche situazioni concrete in cui il sanitario è chiamato ad operare impongono di limitarsi a non osservare solamente le regole ordinarie di diligenza riguardanti il proprio operato. Il principio di affidamento non può essere invocato se l’agente non ha osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta. A ciò va ad aggiungersi che vi sono dei casi in cui il sanitario non può non conoscere e controllare l’attività svolta da un altro collega al fine di dispiegare effetti pregiudizievoli per il paziente. Il principio di affidamento, infatti, va contemperato con l’obbligo di garanzia verso il paziente che è a carico di tutti i sanitari che partecipano contestualmente o successivamente all’intervento terapeutico. In questi casi, ogni sanitario deve rispettare non solo i canoni di diligenza e di prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, ma anche vigilare sugli obblighi degli altri sanitari componenti l’equipe. Se l’accertamento dei profili di colpa deve essere compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascuno, l’onere di vigilanza sull’operato altrui non può, comunque, trasformarsi in un obbligo generalizzato di continua raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione delle competenze degli altri medici. Il medico non è tenuto a vigilare costantemente sulle azioni degli altri né a interferire con le loro decisioni professionali, ma ha l’obbligo di esprimere il proprio dissenso quando necessario. Solo il corretto controllo sull’operato e gli errori altrui in base alle conoscenze che il professionista medio deve avere, assolve l’obbligo di diligenza, che travalica il ristretto perimetro delle proprie mansioni. Possiamo dunque concludere che l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali. Proprio nell’ambito di un’attività medica in cui cooperano più soggetti, assume quindi rilievo il tema della manifestazione del dissenso. L’obbligo di diligenza cui è tenuto il medico cui è affidata la posizione di garanzia va espresso anche attraverso il controllo sull’operato e gli errori altrui e deve escludersi che possa invocare esonero da responsabilità il chirurgo che si sia fidato acriticamente delle scelte del collega più anziano. Non solo, deve altresì escludersi che possa invocare esonero da responsabilità il chirurgo componente di equipe che non condivide le scelte del primario adottate nel corso dell’intervento operatorio e che non manifesta espressamente il proprio dissenso. La mancata segnalazione del dissenso, infatti, nei confronti di un collega mantiene la sua rilevanza in termini di responsabilità. La valutazione relativa all’idoneità della forma di dissenso impiegata ad escludere la responsabilità penale può essere compiuta avendo riguardo al contesto in cui è stata manifestata l’opinione. Per informazioni e contatti scrivi una e-mail all’indirizzo: avv.mimmolardiello@gmail.com
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