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Fine estate in Puglia
05 Settembre 2025 - 07:00
L’ultimo bagno è un atto di misura, non di impresa: dice «a presto» senza promettere niente
C’è un momento, dopo il sole alto e prima dei lampioni, in cui il mare cambia voce. Il caldo smette di spingere, l’orizzonte si pulisce e l’acqua pare invitare. L’ultimo bagno dell’estate non è un atto di coraggio: è un congedo gentile. Un ringraziamento sussurrato a un elemento che ci ha tenuti leggeri per settimane.
La golden hour dorata appiattisce le ombre, scalda la pelle e placa il vento. La blue hour successiva ruba i rossi al cielo e lascia un blu che rende tutto più nitido. In mezzo c’è il tempo esatto del tuffo: quando la luce è ancora amica, l’acqua non ha perso il tepore del giorno e la spiaggia si svuota senza essere buia.
Dopo una giornata calda, la differenza tra temperatura dell’aria e dell’acqua si riduce. L’ingresso è più dolce, la pelle non protesta. Il respiro trova presto un ritmo, il sale sul labbro diventa un sapore, non una scossa. È un momento in cui anche chi indugia si scopre disposto a entrare fino alle spalle, poi a nuotare poche bracciate, poi a fermarsi e guardare.
Non ovunque si può, non sempre si deve. L’ultimo bagno vive di discrezione e regole semplici: solo dove è consentito, con fondali regolari e ingressi dolci; nessuna corrente evidente; uno sguardo ai segnali in spiaggia; qualcuno a riva che osserva. È un gesto sobrio: niente prove di forza, niente scatti improvvisi. Si entra, si ascolta l’acqua, si resta quanto basta.
Ogni luogo ha i suoi. C’è chi prima di tuffarsi conta tre respiri, chi tocca l’acqua con le dita, chi porta una pietruzza liscia dalla riva e la lascia sugli scogli come segnalibro. Sono cerimonie minime, quasi invisibili, che trasformano un bagno qualsiasi in un saluto. Il mare resta uguale, siamo noi a cambiare un poco: accettiamo che l’estate sfumi senza strappi.
Non c’è bisogno di celebrarlo: l’ultimo bagno vive di parsimonia. Lo chiudi con un asciugamano umido sulle spalle, una borraccia mezza vuota, il costume che sa di sole. Porti a casa poco - granelli nelle tasche, capelli un po’ salati, il corpo più leggero di prima - e abbastanza per ricordarti che il prossimo mare non è un rimpianto ma una direzione. Non fai bilanci, non metti croci sul calendario: ti limiti a dire «torno» e, all’uscita dal lido, già cammini come chi ha fatto pace con la sera.
Al crepuscolo i suoni viaggiano meglio: il richiamo dei gabbiani, un pallone lontano, una radio che si spegne. Anche per questo l’ultimo bagno chiede misure corte: bracciate vicine alla riva, traiettorie chiare, ritorno tranquillo. La bellezza sta nella semplicità: galleggiare, guardare il cielo, farsi attraversare dall’idea - poi dalla certezza - che la stagione può finire senza malinconia.
Non è obbligatorio entrare. Spesso basta l’acqua alle caviglie e una camminata lenta sul bagnasciuga per sentire la stessa pacificazione. Il sale disegna piccole mappe sulle gambe, la sabbia racconta storie di conchiglie e passi. Chi ama la fotografia trova nell’ora blu linee pulite e riflessi docili; chi preferisce ascoltare si accorge che il mare, a quell’ora, parla più piano.
Si esce, si prende l’asciugamano, ci si veste con una felpa leggera. Non c’è ola né applauso, solo la gravità che ci riprende. Ma una cosa è cambiata: il caldo della giornata non preme più; la pelle profuma di sale e di sera. L’ultimo bagno è un atto di misura, non di impresa: dice «a presto» senza promettere niente.
Eppure, nel modo in cui stringiamo il telo e guardiamo un’ultima volta l’orizzonte, c’è già la voglia - molto concreta - di tornare. Quando il calendario lo permetterà, quando la luce tornerà dalla nostra parte. Fino ad allora, il mare resti lì: una certezza blu, anche quando non ci tuffiamo.
Domani il mare sarà lo stesso, noi appena diversi. La sabbia rimasta nelle scarpe farà da promemoria discreto. Una brezza leggera ripeterà il tuffo a bassa voce. E basterà questo per capire che le stagioni non finiscono: cambiano passo.
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