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IL "GESTO"
05 Settembre 2025 - 06:59
La perfezione, quando c’è, dura un attimo. Ma vale la pena cercarla, ogni volta.
La frisella non è una ricetta: è un gesto. Si prende un pane cotto due volte, lo si risveglia con l’acqua e si aspetta. Non sono tutte uguali: quella di grano duro profuma di forno e tiene meglio la croccantezza; quella d’orzo è più scura, tostata, “assetata” d’acqua e regala un tono rustico. Lo spessore decide i tempi: sottile per uno spuntino rapido (6-10 secondi di bagno), più alta per un pranzo vero (12-20 secondi e riposo generoso). È un rito semplice che non chiede fuochi né fornelli: solo misura.
Nata come provvista di lunga durata per contadini e marinai, la frisella (o fresella) è la soluzione mediterranea all’eterno problema del pane che deve durare. L’anello - spesso inciso a metà per facilitare l’asciugatura - racchiude una tecnologia antica: il biscottamento. Si toglie l’acqua, poi la si restituisce quando serve. La magia sta tutta lì, nel decidere quanta ridare e per quanto.
Non esistono cronometri universali, ma una regola d’oro: poco e bene. Immergere la frisella in acqua a temperatura ambiente per 8-20 secondi (dipende da spessore e tostatura), poi lasciarla riposare 1-2 minuti sul piatto. Il riposo è il momento decisivo: l’umidità risale dall’esterno verso il cuore e crea quell’equilibrio tra crosta viva e mollica appena sveglia. Acqua gelida? Tende a irrigidire. Acqua tiepida? Ammorbidisce troppo in fretta. L’orecchio aiuta: un leggero scricchiolio al taglio è buon segno.
Su una frisella passano pochi ingredienti, perciò ognuno deve contare. L’olio extravergine di oliva è il quarto ingrediente dell’estate: profumo pulito, fruttato bilanciato, amarezza e piccantezza misurate. Non deve coprire, deve legare. Spargerlo a filo quando la superficie è ancora umida aiuta a trattenerne l’aroma; il sale, poco e uniforme, va prima del pomodoro per distribuire meglio la sapidità.
Il pomodoro non si limita a «condire»: deve incontrare il pane. La versione più elegante resta quella «strofinata»: mezzo pomodoro maturo - polpa succosa, buccia sottile - che rilascia un velo rosso e i semi, quanto basta a profumare senza appesantire. A cubetti va bene, ma scolati: l’acqua in eccesso trasforma la frisella in zattera.
L’origano secco è il canto d’estate sulla frisella. Basta un pizzico, sbriciolato tra le dita. Capperi ben dissalati e olive (celline o ciò che il territorio offre) introducono profondità e sapidità naturale. È un gioco di pesi leggeri: ogni aggiunta deve giustificare il suo posto.
La tradizione è solida, ma non è rigida. Tonno al naturale, qualche anello di cipolla rossa - ammorbidita in acqua fredda per togliere l’aggressività - e due foglie di basilico fanno una frisella da pranzo. D’estate, il coraggio dolce-salato ha cittadinanza: fichi a spicchi sottili, mandorle tostate, un’ombra di ricotta fresca. La «ricotta forte», se vi tenta, va dosata come un profumo: una punta di cucchiaino, non di più.
Il primo è l’affogamento: se resta acqua nel piatto, avete esagerato. Il secondo è l’olio sbagliato: un extravergine stanco o anonimo rovina il finale. Terzo: l’ansia da topping. La frisella non è una base da pizza, è una scena da camera: troppi protagonisti si pestano i piedi. Infine: il pomodoro acerbo. Senza zuccheri e succo, avete solo colore.
La forza della frisella è la portabilità. In una borsa entrano un contenitore basso con coperchio (per la bagnatura), due pomodori, una boccetta d’olio, sale e origano. Bagnate, attendete, condite: tutto qui. È un pranzo leggero che non pesa, non scalda, non stanca. Un gesto civile anche per l’ambiente: nessun imballo complesso, niente sprechi.
In fondo la frisella insegna una piccola educazione alla pazienza. Si bagna, si aspetta, si ascolta la crosta, si assaggia. Non c’è niente di spettacolare, eppure ogni dettaglio fa differenza. È l’anti-ansia dell’estate: un anello di pane che misura il ritmo dei giorni e che, morso dopo morso, mette ordine nel caldo. La perfezione, quando c’è, dura un attimo. Ma vale la pena cercarla, ogni volta.
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