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TRADIZIONI

“Anguria & sale”

Un viaggio nei sapori autentici della Puglia: dalla frisella bagnata in mare alle cozze pelose di Taranto, dai panzerotti fumanti al gelato artigianale in piazza

Il giornale dell'estate

La Puglia fa così: mette il mare nel piatto e la dolcezza nelle sere

«Metti un pizzico di sale: il dolce si sveglia». È un gesto antico, semplice come una carezza. Una fetta d’anguria che suda sul piatto, il sale che luccica, la lingua che ringrazia. In Puglia l’estate inizia spesso così: con due ingredienti che si rincorrono e si completano. Dolce e salato, mare e terra, sole di mezzogiorno e sera lenta in piazza. È una grammatica affettiva che non ha bisogno di ricette scritte: la conoscono a memoria le nonne, ci si ritrovano i quarantenni e i sessantenni che con quel sapore sono cresciuti, tra ombrelloni a righe e radio che gracchiano Battisti o una hit estiva che non passa mai di moda.

A metà giornata c’è la liturgia della frisella. La prendi, la bagni quanto basta - c’è chi giura nell’acqua fredda, chi, più audace, nell’acqua di mare «perché l’olio poi canta meglio».
Pomodorini schiacciati con le dita, origano di macchia, olio extravergine, due capperi, qualche fetta di cetriolo per tenere a bada la calura. La frisella non è pane: è una pausa che profuma di casa anche quando sei in spiaggia, seduto su una sedia di plastica, con la sabbia che arriva fin dentro il giornale. È un pranzo che non chiede stoviglie né fretta. Si morde e, intanto, si chiacchiera: del vento che gira, di chi arriva a Ferragosto, di quel bimbo che ormai è più alto del nonno.

Poi c’è il capitolo sussurrato delle cozze pelose. Per chi le ama sono un rito di confidenza con il mare: ricciolo bruno, sapore pieno, un filo di limone e basta. Le trovi nelle osterie tipiche che si rispettano, dove il pescato fresco porta ancora addosso l’odore del largo. C’è chi le vuole crude, chi preferisce una scottata in padella con prezzemolo e aglio - sempre freschissime, sempre dove ci si fida. È un attimo: chiudi gli occhi e senti Taranto che respira, il porto, la Città Vecchia e le voci sui gradini. In quel boccone convivono dignità e ricchezza, fatica e festa, il sale delle mani e quello del mare.

La sera, quando l’aria si fa morbida e la piazza diventa il salotto di tutti, arriva l’ora dei panzerotti pugliesi. Li riconosci dal profumo prima ancora di vederli. È un odore che fa voltare i passi, una promessa che scrocchia. L’impasto lievitato con pazienza, la pancia gonfia che custodisce pomodoro e fiordilatte; qualcuno ci mette la cipolla, qualcuno la ricotta forte che «fa sudare» ma fa felici. C’è sempre un panzerotto che scappa dal tovagliolo e una risata che lo rincorre: non è una macchia, è un distintivo. Si aspetta il proprio turno con una fame antica e i racconti leggeri: le partite viste al bar, la gita del giorno dopo, i ricordi che, tra gli anni ’80 e ’90, sanno di motorini e primi baci dietro le luminarie della festa patronale.

E quando la notte si allunga senza fretta, si chiude in dolcezza: gelato artigianale in piazza, il cono che gocciola come una clessidra. Gusti semplici, che non tradiscono: mandorla tostata, fichi caramellati, limone che pulisce la lingua e fa tornare bambino. Il pistacchio è per i fedelissimi, la stracciatella mette tutti d’accordo; qualcuno chiede «crema della nonna» e sorride: è il modo più breve per dire casa. In coda davanti alla gelateria si vede la vita: i nipoti con gli occhi lucidi davanti al banco, i nonni che insegnano il trucco per non far cadere la pallina, gli amici di sempre che scoprono di avere ancora storie nuove da raccontarsi. La panchina di pietra è calda, la conversazione pure.

Se ci pensi, «anguria & sale» è più di un titolo: è un’educazione sentimentale. Dice che la dolcezza ha bisogno di un contrappunto, che la felicità sta spesso in un equilibrio imperfetto. È il ricordo di una tavola apparecchiata con poco, ma con gusto e attenzione: la tovaglia stesa sul balcone, il ventilatore che gira, le cicale che non mollano, i piatti fondi buoni per tutto. È una scuola di misura che il Sud insegna senza fare lezione: la porzione giusta, l’olio giusto, la parola giusta. Si mangia meglio quando non si ha fretta, si vive meglio quando non si ha paura di aspettare.

La Puglia di luglio e agosto è un coro: le voci diverse si riconoscono in un’unica melodia. Le signore che scelgono i pomodori «che profumano davvero», gli uomini che parlano di mare guardando il cielo, i ragazzi che scattano foto al tramonto come se fosse la prima volta. A Martina Franca risuona un clarinetto in una piazzetta, a Lecce i palazzi di tufo sembrano accendersi, a Monopoli la pietra chiara riflette il passo lento delle famiglie. A Taranto, sul Lungomare, il vento porta l’odore della sera: ti entra in tasca come una moneta da cento lire dimenticata, e la risata che scappa è un modo per dirsi «siamo a casa».

Ecco perché, quando poi l’estate finisce e si torna dove si deve, conviene portarsi dietro un piccolo corredo: una busta di friselle, un mazzetto di origano, un vasetto di capperi e quella frase delle nonne appuntata in fondo al cuore. «Metti un pizzico di sale»: sulle cose, sui giorni, sui ricordi. Il dolce si sveglia. Anche in autunno, anche a dicembre, quando aprirai quel sacchetto e l’odore della Puglia ti metterà una mano sulla spalla.

Perché i sapori pugliesi qui sono più che sapori: sono promemoria. Ti ricordano che la felicità non è un piatto complicato. È una frisella ben condita, due cozze pelose da spartire, un panzerotto che scotta le dita, un gelato artigianale che si scioglie in una piazza che pare fatta apposta per restare. È una fetta d’anguria con un granello di sale, e tutti gli anni che ti attraversano insieme: quelli in cui eri bambino e quelli in cui sei diventato il nonno che offre il primo cono. Sono istanti che non finiscono, perché restano cuciti addosso come il vento di tramontana: discreti, ma impossibili da dimenticare.

La Puglia fa così: mette il mare nel piatto e la dolcezza nelle sere. E tu, senza accorgertene, diventi parte del racconto.

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