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RICORDI/1

I tormentoni all’epoca dei jukebox

Quando l’estate si sceglieva con una moneta e la musica diceva tutto di noi e dei nostri desideri

Il giornale dell'estate

La canzone estiva non era solo sottofondo: diventava un filo invisibile che legava tutti quelli che la stavano ascoltando

C’era un’epoca in cui il tormentone estivo non te lo proponeva un algoritmo, non era il frutto standardizzato di una playlist creata chissà dove da un curatore invisibile. Il tormentone lo sceglievi tu. O meglio: lo conquistavi.
Bastava una moneta da 100 lire e compravi tre minuti di eternità.

All’epoca dei jukebox, l’estate iniziava sempre allo stesso modo: un clic metallico, secco e promettente, seguito da quel breve, magico silenzio prima che il braccio meccanico si muovesse con precisione robotica e la puntina si posasse delicatamente sul vinile.

Il mare continuava a respirare là fuori, con la sua risacca ipnotica, ma dentro il bar o sotto la veranda del lido le voci si abbassavano d’istinto, qualcuno smetteva di mescolare il caffè o di sfogliare il giornale per riconoscere le prime, fatidiche note musicali. E poi, all’improvviso, la musica riempiva tutto, un’onda sonora che si sovrapponeva a quella del mare: il lido, la piazza del paese, la penombra della sala giochi, persino la strada assolata fuori dal bar.

Non importava che tu fossi a Gallipoli, a Vieste, a Rimini o in un piccolo borgo della riviera ligure: il jukebox era il centro gravitazionale della scena. Un oggetto totemico, un piccolo altare luminoso e cromato dove si andava in processione con le mani ancora umide di mare e il cuore pieno di aspettative. Era un feticcio di design americano trapiantato nel cuore del Mediterraneo.

I brani erano scritti su strisce di carta ingiallite, inserite dietro un vetro, con una combinazione di lettere e numeri che bisognava memorizzare. Sceglierne uno, premere quei pulsanti grossi e un po’ consunti, significava fare una dichiarazione pubblica: a se stessi, agli amici, a qualcuno che forse nemmeno ti notava ma che avresti voluto colpire con quelle parole in musica.

Ogni estate aveva il suo inno, o meglio, la sua costellazione di inni. Negli anni ’60 potevano essere le note spensierate di Stessa spiaggia, stesso mare o l’energia di Azzurro. Negli anni ’70, l’intimità struggente di Sapore di sale si alternava ai successi disco che arrivavano sulle coste italiane con un po’ di ritardo, ma facevano comunque ballare tutti, trasformando ogni pezzo di spiaggia in una pista da ballo. Gli anni ’80 e ’90 furono l’apoteosi: era impossibile non imbattersi nell’ipnotica melodia di I Like Chopin, nel ritmo sfrontato di Boys (Summertime Love) o nell’orgoglio nazional-popolare de L’italiano.

Ma il bello era che la canzone estiva non era solo sottofondo: diventava un filo invisibile che legava tutti quelli che, in quel preciso momento, la stavano ascoltando.

In Puglia, come in tante altre regioni, il jukebox era un pezzo d’arredamento essenziale, collocato strategicamente dentro i bar sulla spiaggia, vicino alla macchina del caffè dall’odore persistente e alla vetrina dei gelati artigianali. In altri casi era sistemato nei dancing estivi, locali improvvisati dove si ballava sulla sabbia dura o su una pista di mattonelle sconnesse, tra le sedie di plastica bianche e le ghirlande di lampadine colorate.

Bastava guardarsi intorno per capire che lì non c’era solo musica: c’era il rito di una comunità, di un’estate lenta che si prendeva il tempo per assaporare ogni istante.

Il jukebox aveva anche le sue regole non scritte.
La prima: mai mettere due volte di fila la stessa canzone, a meno che non sottintendesse una dichiarazione d’amore.
La seconda: non interrompere mai il brano scelto da un altro, anche se non ti piaceva.
E la regola d’oro: nessuna canzone triste nelle ore calde del pomeriggio. Quelle partivano quando le luci del lido si facevano più soffuse e qualcuno, a un passo dal mare, cercava il coraggio di dire una frase o sfiorare una mano accompagnato da una melodia romantica.

Questo è il motivo per cui quando oggi sentiamo una di quelle vecchie canzoni alla radio, in un supermercato o in un film, ci ritroviamo improvvisamente lì: in quel momento in cui con la pelle salata dal sole, una moneta umida nel palmo della mano e il cuore che batte forte, al ritmo di un’estate che resterà per sempre dentro di noi.

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