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Tecnologia
25 Luglio 2025 - 07:04
la vita vera è un’avventura che nessun segnale potrà mai sostituire
Non serve più la macchina fotografica, non serve più la mappa, non serve più nemmeno la compagnia, a volte. Basta uno smartphone, il sacro graal della villeggiatura moderna. Ma cosa succede quando, in vacanza, il nostro piccolo feticcio tecnologico decide di abbandonarci?
Benvenuti nella guida semiseria ai drammi digitali da vacanza, un prontuario per chi, abituato a vivere connesso, si ritrova improvvisamente offline. E scopre, con orrore, che il mare è bello davvero, ma senza connessione sembra un po’ più ostile.
Appena arrivati nella casa in affitto, in hotel o nel b&b, non si chiede più dove sia il bagno. Si chiede: «C’è il wi-fi?». Anzi, la domanda vera è: «Funziona bene?». Perché una tacca sola è peggio di nessuna: illude, carica lentamente i messaggi, si blocca a metà video e trasforma anche il più paziente dei vacanzieri in un leone affamato. La password è un enigma nascosto su un post-it sbiadito dietro il frigorifero. Non è raro trovarsi a fissare la schermata del caricamento come se fosse un oracolo misterioso. E intanto, il tramonto sfuma, il gelato si scioglie e tu sei lì, vittima di una connessione ballerina.
Hai portato il costume, la crema, persino l’antizanzare. Ma il caricabatterie? Ovviamente no. Oppure sì, ma con l’attacco sbagliato. Il tuo amico ha un iPhone, tu Android. Il campeggio ha solo prese francesi e non c’è adattatore. L’unico negozio di elettronica più vicino dista 12 km, aperto solo il giovedì mattina. Ah, la tragica ironia di essere nel 2025 e sentire nostalgia delle pile AA.
Ci sono spiagge meravigliose. Con la sabbia fine, il mare cristallino, i tramonti da cartolina.
Ma non prende. Né il wi-fi, né la rete dati. E allora succede l’impensabile: le persone iniziano a parlarsi. A voce. Senza audio di sottofondo. Alcuni leggono un libro, qualcuno prende appunti su un taccuino. Altri si stendono sull’asciugamano e fissano le nuvole. Un silenzio quasi inquietante, ma che, in fondo, sa di pace.
Nel cuore della “zona d’ombra”, il mondo reale si prende la sua rivincita e tu scopri la sensazione dimenticata di non essere sempre raggiungibile.
Hai pianificato l’escursione perfetta nel parco naturale, studiando il percorso su Google Maps. Ma appena ti addentri nel bosco, il segnale svanisce. La mappa diventa una griglia vuota con un puntino blu che lampeggia, solitario e inutile, nel mezzo del nulla. Sei ufficialmente perso. È qui che riscopri i metodi ancestrali: seguire il sole, cercare il muschio sugli alberi o, più realisticamente, chiedere indicazioni al primo contadino che passa, il quale ti risponderà con un vago “sempre dritto e poi giri dove c’era la vecchia quercia”. Un’avventura che non avevi previsto, ma che ricorderai più di qualsiasi percorso ottimizzato.
Tre giorni senza postare. Una storia Instagram che si blocca sul caricamento. Un TikTok girato al volo ma che non si può caricare. L’ansia sale. Il mondo saprà che sei in vacanza solo quando sarai già tornato. Una tragedia moderna. Nel frattempo, ti sorprendi a desiderare disperatamente almeno una notifica, un like, un commento - qualsiasi segno di vita digitale.
Poi ti chiedi: ma davvero perdo così tanto se non lo faccio?
Whatsapp è fermo. I messaggi vocali arrivano a raffica appena rientri nella zona coperta. Il gruppo della spiaggia ti dà per disperso, i colleghi pensano che stai facendo il morto, e i tuoi genitori chiamano la protezione civile perché non vedono la doppia spunta da ieri sera. E tu ti ritrovi a imbrogliarti di scuse, a giustificarti per non aver risposto. Fuori dalla distanza, la pazienza digitale va in tilt.
Inizia un cortocircuito emotivo: cominci a pensare che potresti davvero vivere senza telefono. O almeno provarci. Ti godi la cena senza fotografare il piatto. Guardi il tramonto con gli occhi, non dallo schermo. Ti viene voglia di scrivere una cartolina. Poi ti ricordi che non sai l’indirizzo di nessuno, perché è tutto salvato sul telefono. E allora, senza volerlo, torni alla realtà e al piccolo schermo luminoso al tuo fianco.
Parli. Con i tuoi amici. Con i vicini d’ombrellone. Con la signora del piano di sopra. Con il pescatore che ti consiglia dove prendere le cozze. Ti rendi conto che le persone dal vivo sono più simpatiche che su Facebook. E anche più complicate. Ma almeno non devi scorrere per conoscerle, né aspettare il tempo di caricamento di un video. La conversazione è vera, con pause, risate, sguardi.
Un dramma nel dramma. Il bambino che ha sempre avuto Peppa Pig a disposizione, ora si trova solo con secchiello e paletta. Dopo cinque minuti dice di essersi già stancato. Dopo dieci si tuffa in acqua e scopre che il mare è meglio della tv. Almeno fino al primo riccio, che mette fine alla sua avventura acquatica con urla di terrore e la mamma che corre a salvarlo. Ma, tutto sommato, anche questa rimane una piccola conquista.
In fondo, le vacanze servono anche a questo: a ricordarci che non siamo solo account, utenti, follower e visualizzazioni. Che possiamo perderci senza Google Maps, scegliere un ristorante senza TripAdvisor, vivere un momento senza doverlo condividere. E magari, tra una connessione traballante e una presa che non funziona, riscopriamo un po’ noi stessi - quelli senza like, notifiche o schermi luminosi a inseguire.
Quando finalmente torni online, sei bombardato. Scopri che non è successo nulla di irreparabile. Il mondo ha continuato a girare anche senza il tuo ultimo post. Hai 78 notifiche, 14 richieste di amicizia e 6 messaggi vocali di tua madre. La maggior parte sono spam, meme e promozioni. Ma adesso, per la prima volta, puoi anche decidere di rispondere domani. O dopodomani. Perché se c’è una cosa che hai imparato è che la vera libertà è scollegarsi.
Almeno per un po’.
Il Wi-Fi è comodo, ma la vita vera è un’avventura che nessun segnale potrà mai sostituire, né tantomeno scaricare.
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