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Lifestyle

Estate in Puglia tra profumi di nonna e rimedi “rurali”

Rimedi estivi della tradizione pugliese: tra scottature, zanzare e mal di mare

Il giornale dell'estate

Altro che stick al mentolo, patch rinfrescanti e pomate high-tech con acido ialuronico.

D’estate, nel cuore pulsante e assolato della Puglia, si sopravviveva al caldo, alle punture e ai malanni da vacanza con quello che c’era in casa. E spesso bastava aprire la credenza della nonna - un vero e proprio laboratorio alchemico, una farmacia a chilometro zero - per trovare un rimedio miracoloso. Che poi miracolo non era: era semplicemente esperienza distillata, saggezza contadina e un buon naso per le cose che funzionano.

Chi ha avuto la fortuna di trascorrere le estati in campagna o nei paesini dell’entroterra pugliese, tra muretti a secco e il canto assordante delle cicale, sa di cosa stiamo parlando. Ogni problema aveva la sua soluzione fatta in casa, e ogni soluzione aveva un odore preciso, inconfondibile.

Ecco perché, quando si dice “profumo di nonna”, non si pensa a Chanel N°5, ma a un complesso bouquet di basilico pestato, acqua di rose, borotalco e - perché no - un pizzico di aceto che pizzica il naso.

L’unguento anti-scottatura (che non era un unguento)

Nel tardo pomeriggio, dopo ore trascorse sotto un sole cocente che non perdonava (e rigorosamente senza protezione solare, un’invenzione moderna che “faceva venire la pelle bianca e non ti abbronzavi mai”), ci si ritrovava arrostiti come peperoni sulla brace. La pelle tirava, bruciava, era un memorandum vivente della propria imprudenza. Il rimedio? Una mistura tanto semplice quanto geniale: yogurt bianco naturale, denso e freddo di frigorifero, spalmato generosamente sulla pelle arrossata. La sensazione di sollievo era istantanea. Lasciato agire finché non si seccava, creando una maschera crepata, veniva poi risciacquato con acqua tiepida. A volte, in mancanza di yogurt, si usavano fettine sottili di patata cruda o di cetriolo, applicate come francobolli freschi sulle zone più critiche, perché “tiravano via il fuoco”.

E se qualche giovane sprovveduto avanzava l’ipotesi di usare il dentifricio, arrivava subito la voce perentoria della nonna a stroncare l’eresia con un’occhiataccia: «Ma che sei matto? Quello va bene per asciugare i brufoli, non per spegnere gli incendi!»

Le zanzare? Non avevano scampo (quasi)

Zampironi, spray chimici e fornelletti elettrici erano ancora merce rara o considerati un lusso superfluo. La battaglia contro le zanzare si combatteva con armi naturali e un pizzico di folklore. Bastavano alcune foglie di alloro o di salvia bruciate lentamente su un piattino di terracotta per sprigionare un fumo aromatico e sacro che teneva lontani gli insetti. In alternativa, una mezza cipolla cruda posizionata sul comodino fungeva da scudo olfattivo. Un’altra chicca? Il geranio, rigorosamente coltivato in vasi colorati sotto ogni finestra, un soldato vegetale a guardia della casa. Più per scaramanzia che per comprovata efficacia scientifica, ma tant’è: la zanzara era un insetto che, si sperava, rispettasse la tradizione.

In caso di puntura, poi, niente pomate al cortisone. Si premeva sulla bolla con l’unghia, disegnando una croce “per bloccare il veleno”, e poi si passava all’attacco: si tagliava a metà un limone o una foglia carnosa di aloe, oppure si applicava un impacco di aceto di vino bianco.

Bruciava da morire per qualche secondo, ma secondo le nonne “disinfettava e faceva passare il prurito prima”.

Mal di mare, stomaco sottosopra e l’arte del “resistere”

Non c’era vacanza che non includesse una gita in barca verso qualche grotta nascosta, e non c’era gita in barca senza almeno un nipote pallido e barcollante con lo sguardo fisso sull’orizzonte ballerino. Il rimedio era servito prima ancora di salpare: un pezzetto di zenzero fresco da masticare lentamente (non sempre gradito, ma efficace), oppure il più classico dei classici: una fetta di pane casereccio con sopra sale grosso e un filo d’olio, “per tenere lo stomaco fermo e assorbire l’acidità”.

E quando la digestione era lenta, appesantita da una parmigiana di melanzane consumata sotto il solleone? Arrivava lui, il sovrano dei digestivi: il decotto di finocchietto selvatico, raccolto ai bordi delle strade di campagna, bollito e lasciato intiepidire. Amaro come poche cose al mondo, ma considerato santo per “sgonfiare la pancia e far passare la pesantezza”.

I capelli biondi e il sole come parrucchiere personale

Le nonne pugliesi avevano capito i segreti dell’hair-styling naturale molto prima degli influencer di Instagram. Limone e sole schiarivano i capelli meglio di qualsiasi decolorazione chimica.

Bastava spremere qualche goccia di succo, distribuirlo sulle ciocche con le dita e lasciarsi baciare dal sole. L’effetto? “Colpi di sole” dorati, completamente gratis. E per nutrire la chioma inaridita dalla salsedine? L’olio d’oliva extravergine diventava un impacco prezioso. Lasciato in posa per ore, con i capelli avvolti in un foulard come una sultana, e poi sciacquato con infinita pazienza (e almeno tre passate di shampoo).

I profumi indelebili dell’estate

Forse il vero segreto, il vero rimedio universale, stava proprio lì: in quei profumi familiari che oggi l’industria cosmetica cerca disperatamente di ricreare in diffusori o flaconi da 100 ml.

L’estate pugliese aveva l’odore delle erbe spontanee schiacciate sotto i piedi nudi, delle camomille raccolte al tramonto per infusi rilassanti, del sale che si seccava sulla pelle, e del borotalco applicato con la sua piuma morbida prima di andare a dormire, per una sensazione di freschezza impagabile.

Oggi ci affanniamo tra tutorial online e prodotti di farmacia sempre più specifici, ma basta chiudere gli occhi per tornare a quelle estati lente, fatte di rimedi semplici e certezze antiche.

Come quella che, in fondo, il vero lusso non era avere il rimedio, ma avere la nonna.

E quella, purtroppo, non si trova in nessuno scaffale.

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