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IL VADEMECUM
11 Luglio 2025 - 07:24
Ci sono accessori che fanno la differenza tra una giornata perfetta e un incubo in slow motion
Non è estate in Puglia se, almeno una volta, non hai urlato la fatidica frase: «Hai messo le ciabatte da scoglio?».
Di solito viene pronunciata con un tono a metà tra l’apprensione di un genitore e il panico di un caposquadra, mentre stai già sudando copiosamente sotto l’ombrellone, con la crema protezione 50 in una mano e la borsa frigo dall’altra. Il tutto dopo aver parcheggiato la macchina, ormai una sauna su quattro ruote, a un chilometro di distanza. Perché in questa terra bellissima, dove il mare cambia colore ogni cinque chilometri e le spiagge possono essere distese di sabbia borotalco o campi minati di sassi, ci sono accessori che fanno la differenza tra una giornata perfetta e un incubo in slow motion.
Sono i nostri totem, le nostre ancore di salvezza.
Nessun accessorio ha più diritto di cittadinanza nelle spiagge pugliesi. Non contano l’estetica o il colore, che spesso virano su un blu elettrico o un nero funzionale da sub professionista.
Contano solo due cose: che la suola in gomma non si sfaldi al primo, fatidico passo in acqua e che proteggano dal trittico infernale del bagnante: lo scoglio affilato come una lama, il sasso levigato ma scivolosissimo e, naturalmente, il famigerato “riccio assassino” appostato nell’ombra. Da Porto Selvaggio a Torre dell’Orso, passando per le calette del Gargano, il fondale può trasformarsi in una trappola medievale. Dimenticarle a casa è un errore da principianti, un peccato capitale che si sconta con un rientro doloroso verso l’asciugamano, camminando in punta di piedi come un fenicottero ferito, implorando un passaggio sulle spalle di un amico.
Ha un valore affettivo che supera di gran lunga quello di qualsiasi oggetto di design. È spesso una reliquia in spugna ruvida e scolorita, che racconta le estati passate attraverso le sue macchie di sale e i suoi fili tirati. Lo riconosci anche a distanza per le fantasie improbabili: conchiglie e delfini fluorescenti, mappe del tesoro sbiadite, pesci tropicali che in Adriatico non si sono mai visti. Ormai non assorbe quasi più, si impolvera solo a guardarlo e, una volta bagnato, pesa quanto un copertone di trattore. Eppure, nessuno ha il coraggio di cambiarlo. È il nostro Linus da ombrellone, la bandiera che delimita il nostro minuscolo regno sulla sabbia.
Il borsone frigo pugliese ha qualcosa di eroico, di mitologico. È una sorta di capsula del tempo gastronomica, una dichiarazione di autosufficienza totale. All’interno, stratificato con la perizia di un archeologo, puoi trovare l’universo mondo: anguria già tagliata in cubetti, friselle condite e sigillate in sacchetti ermetici, birre ghiacciate (Peroni, ovviamente), due uova sode per la fame improvvisa, un’arancia (non si sa mai), una bottiglia da 2L d’acqua che diventerà tiepida dopo un’ora, e l’immancabile limoncello home made, conservato in una bottiglietta di plastica anonima. Talvolta spunta anche un contenitore con la parmigiana di melanzane del giorno prima. Ogni apertura è un piccolo miracolo termico, ogni contenuto un richiamo alle origini e alla saggezza materna.
Sole a picco, 40 gradi percepiti, vista mare e nelle orecchie non la solita playlist “Summer Chill” di Spotify, ma un’energica pizzica o il meglio di Raffaella Carrà. Chi ha detto che in spiaggia si deve ascoltare solo musica rilassante o reggaeton? In Puglia puoi permetterti tutto. Anzi, è quasi un dovere morale. Mentre il vicino di ombrellone ondeggia a ritmo di una hit internazionale, tu puoi tranquillamente fare il bagno cantando a squarciagola “Lu rusciu te lu mare”, sentendoti parte di un rito antico e potente. E se sei più giovane, magari passi dai Sud Sound System a Liberato, perché il Sud è uno stato d’animo.
C’è chi la chiama “il trono”, chi la rifiuta con orgoglio preferendo la scomodità del telo sulla sabbia rovente, ma alla fine la sedia da spiaggia è una delle grandi conquiste della civiltà balneare. Soprattutto se sei in una caletta sassosa del sud Salento o se fai parte del gruppo delle 7 del mattino, quello che si piazza in prima fila come alla finale di Champions League. Ne esistono di varie tipologie: quella in plastica bianca, economica e traditrice; quella in legno e tela, pesante ma indistruttibile, ereditata dal nonno; e quella moderna in alluminio con tanto di portabicchiere. Il suo sferragliare metallico all’apertura è il suono ufficiale dell’inizio della giornata.
Tutti ce l’hanno. Tutti, all’inizio dell’estate, pronunciano il solenne giuramento: «Quest’anno mi proteggo, non voglio scottarmi». Poi, la crema solare, rigorosamente protezione 50+, viene dimenticata in borsa, sepolta sotto asciugamani e parole crociate, fino alle 17, quando qualcuno si accorge di avere le spalle di un preoccupante color peperone. La crema è il grande bluff delle spiagge pugliesi: un atto di fede, un amuleto contro l’insolazione. Ma guai a non averla.
L’estetica conta, e nessuno vuole sembrare il turista tedesco del 2003 con la canotta marchiata a fuoco sulla pelle.
Qui si aprono due scuole di pensiero, due filosofie di vita. C’è quella del classico ombrellone, che al primo alito di maestrale decolla e inizia una sua corsa folle lungo la spiaggia, costringendo il proprietario a una rincorsa umiliante tra le risate generali. E poi c’è quella del tendalino antisabbia, una struttura complessa che richiede competenze da ingegnere del vento e una laurea in nodi marinari. Chi riesce a montarlo senza perdere la dignità (e un figlio, trascinato via da una folata) entra di diritto nel Pantheon del bagnante pugliese, guadagnandosi sguardi di ammirazione e invidia.
La lettura da spiaggia è una delle più grandi e romantiche illusioni dell’essere umano. Porti con te un libro – magari un classico impegnato per sentirti una persona migliore, o l’ultimo bestseller di cui tutti parlano – con le migliori intenzioni. Poi, tra la focaccia unta, il bagno rinfrescante, le chiacchiere con i vicini, i racchettoni che sfrecciano a un millimetro dalla tua testa e l’inevitabile abbiocco post-pranzo, non riesci a leggere neanche il titolo. Però è importante che sia lì, in bella mostra, magari con una copertina accattivante, in posa accanto agli occhiali da sole per la foto perfetta da postare su Instagram.
Alla fine, andare in spiaggia in Puglia è un rito. E come tutti i riti, ha i suoi oggetti sacri, le sue reliquie laiche. Alcuni utili, altri puramente folcloristici, altri ancora semplicemente parte di noi. Ma tutti, proprio tutti, raccontano una versione della nostra estate più vera e autentica. Quella fatta di sale sulla pelle, sabbia nelle scarpe, risate tra gli ombrelloni e pizzica a volume alto nelle orecchie.
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Testata: Buonasera
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