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IL COMMERCIALISTA
16 Settembre 2025 - 14:25
Un’Italia che paga tanto ma decide poco: le tasse restano a Roma, mentre territori e cittadini attendono più autonomia
Lo riporta uno studio di CGIA di Mestre in uno studio dello scorso 12 settembre 2025, secondo il quale nel 2023, ultima data utile di analisi considerando che i dati del 2024 sono ancora in trasmissione, il gettito tributario complessivo è stato pari ad € 613,1 miliardi e di questi 529,4 miliardi, pari all’86% del totale, sono incassati dallo Stato Centrale. La restante parte, per 83,7 miliardi, pari al 14% del totale, è finita a Regioni ed Enti locali.
La spesa pubblica, al netto delle coperture previdenziali e degli interessi sul debito pubblico ha sfiorato i 644 miliardi di euro, lungamente superiore agli incassi, e di questi 362 miliardi sono stati spesi dallo Stato centrale e i rimanenti 281 miliardi da Regioni ed Enti locali.
In altri termini se la gran parte delle tasse pagate dagli italiani finisce nelle casse dello Stato centrale, solo poco più della metà della spesa pubblica è in capo ad esso.
Esiste di conseguenza una sperequazione tra entrate tributarie e spesa pubblica piuttosto preoccupante.
Gli Enti pubblici locali, i quali sostengono quasi la metà della spesa per i servizi ai cittadini (come sanità, trasporti, edilizia abitativa etc.) ricevono le risorse prevalentemente dallo Stato e solo in maniera limitata direttamente dai cittadini e così la capacità finanziaria di Regioni e Comuni dipende dai trasferimenti statali che a loro volta sono vincolati all’andamento generale della spesa e alla capacità delle amministrazioni di negoziare le risorse.
Negli ultimi trent’anni, rileva CGIA, numerose funzioni e servizi pubblici sono stati trasferiti dal livello centrale a quello periferico ma non c’è corrispondenza circa l’autonomia finanziaria concessa agli enti locali. Non è necessariamente un aspetto negativo ma è evidente che quando le necessità statali prevalgono rispetto alle altre, i trasferimenti possono essere messi in discussione.
E’ così con la sanità pubblica, in parte sostenuta da imposte centrali o comunque raccolte dallo Stato e poi redistribuite e quando sono imposti limiti generali di spesa la percezione degli effetti si ribalta al livello locale.
Tra le entrate tributarie in capo allo Stato e alle Amministrazioni centrali la più onerosa per le tasche dei contribuenti è l’Irpef che, al lordo delle detrazioni e degli oneri deducibili, è costata agli italiani 208,4 miliardi.
E’ l’imposta progressiva per eccellenza - cioè sale di aliquota in relazione all’incremento di reddito dei cittadini - e la pagano tutte le persone fisiche italiane, o almeno quelle che contribuiscono veramente.
Segue l’Iva con 140 miliardi e l’Ires con 49,7 miliardi. Anche questo dato fa parecchio riflettere.
L’impatto delle imposte indirette, che colpiscono cioè le tasche dei cittadini senza stare troppo a considerare le loro capacità di reddito sono circa un quarto del totale e a loro volta, parliamo dell’IVA, finiscono anche per sostenere i contributi che l’Italia versa alla Unione Europea, con evidenti effetti poi sulla vita dei cittadini italiani.
Anche il dato IRES, l’imposta che pagano le società di capitali italiane, è altrettanto preoccupante. Solo 49.7 miliardi di euro per una platea di circa 1.5 milioni di società di capitali italiane.
Le entrate tributarie delle regioni sono composte principalmente dall’IRAP per 28,9 miliardi di euro. Sono somme destinate interamente alla sanità, raccolte dallo Stato e riversate nelle casse delle regioni. Inoltre le regioni italiane possono contare sulla raccolta dell’addizionale regionale IRPEF per 13.5 miliardi di euro ed il bollo auto per circa 6.6 miliardi di euro.
Alle province italiane invece vanno i proventi del gettito sull’imposta che si paga per le assicurazioni auto per circa 2.1 miliardi di euro e le imposte raccolte da PRA per 1.7 miliardi di euro.
Ai Comuni vanno le entrate IMU per 18.6 miliardi di euro, l’addizionale comunale IRPEF per 5,7 miliardi di euro e i contributi per le concessioni edilizie che ammontano a 1.7 miliardi di euro.
I Comuni incassano in autonomia anche la TARI ed altre imposte locali con le quali coprono servizi diretti. Questi tributi entrano direttamente nei bilanci degli enti e non sono gestiti dallo Stato e pertanto la loro rendicontazione non è analizzabile in questa sede.
Lo squilibrio finanziario che discende dal rapporto tra gestione dei tributi e spesa locale ha spinto almeno due amministrazioni regionali italiane - che nel rapporto dare/avere con lo Stato sono più penalizzate - a chiedere maggiore autonomia. Si tratta di Veneto e Lombardia che nel 2017 hanno tenuto un referendum consultivo sulla materia.
L’unico ente in grado di stabilire i differenziali tra incassi e utilizzo delle risorse è Banca d’Italia che è in grado di determinare il cosiddetto residuo fiscale. Dall’ultimo dato disponibile, del 2019, tutte le regioni del Nord devolvono in solidarietà più di quanto spendono, allo Stato Centrale ad eccezione della Liguria, che ha un saldo negativo.
E’ questo il motivo principale della loro richiesta di autonomia differenziata sostenuta nelle sedi parlamentari.
Ricevono di più di quanto versano la Campania 1.380 milioni di euro, la Puglia 2.440 milioni di euro, la Sicilia 2.989 milioni di euro e la Calabria 3.805 milioni di euro.
*Dottore Commercialista - Revisore Legale
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