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IL COMMERCIALISTA
08 Aprile 2025 - 18:34
L’efficacia dei dazi dipende da molti fattori, dal tipo di mercato, dal tipo di prodotto, dall’interesse che questo suscita tra i consumatori sulle cui spalle alla fine ricadrà l’imposta
Sembra che l’attenzione internazionale sia monopolizzata ormai da mesi dal tema dei dazi, che il Governo statunitense ha iniziato a introdurre in tutta una serie di mercati e verso i rapporti commerciali con diverse nazioni nel mondo.
Per capirne di più e comprendere come funzionano e che impatto possono avere sulle nostre vite cerchiamo di tracciarne il profilo economico e giuridico a beneficio dei lettori.
Fino a qualche anno fa gli economisti ritenevano, e ritengono tutt’ora, che i dazi fossero uno strumento superato perché distorsivo del mercato e controproducente rispetto ai benefici di decenni di globalizzazione e libero scambio.
Giuridicamente i dazi sono una imposta applicata all’ingresso di merci da un paese straniero, si calcolano in percentuale al prezzo di vendita e sono pagati, in prima istanza, dall’importatore alla dogana del paese di ingresso.
Un esempio pratico. Il dazio verso i paesi dell’Unione Europea varrà il 20 per cento. Significa che, su un bene che costa 10mila dollari all’importazione, il grossista statunitense che lo compra dovrà pagare alla dogana 2mila dollari di dazio: portarlo negli Stati Uniti gli è costato 12mila dollari, più tutte le spese di trasporto, e dovrà venderlo a una cifra non inferiore se non vuole rimetterci. Se ci riesce l’onere del dazio ricade completamente sui consumatori, che si ritrovano a pagare un prezzo maggiorato.
Secondo questo principio economico protezionista, la merce importata diventa più cara e questo dovrebbe spingere i consumatori a scegliere merce nazionale. Tuttavia il mercato non reagisce in maniera così lineare e soprattutto se gli altri Paesi del mondo applicano dazi in risposta alle misure americane, anche gli Stati Uniti avranno problemi ad esportare le loro merci. Generalmente quelle ad alto contenuto tecnologico, le materie prime, i carburanti e altri prodotti.
L’efficacia dei dazi quindi dipende da molti fattori, dal tipo di mercato, dal tipo di prodotto, dall’interesse che questo suscita tra i consumatori sulle cui spalle alla fine ricadrà l’imposta.
L’alternativa è che il produttore di beni da esportazione decida di abbassarne il prezzo e assorbire gli effetti del dazio su sè stesso per non perdere il mercato. La questione non è indifferente alle produzioni pugliesi, soprattutto quelle agroalimentari e della moda. Il tema però è verificare se i produttori siano in grado di assorbire il dazio senza andare in perdita, oppure l’appetibilità dei loro beni sia tale da convincere i consumatori ad acquistarli lo stesso, nonostante il forte incremento di prezzi. Nella realtà sono pochi i casi limite in cui il dazio è sopportato interamente dai consumatori nazionali o dai produttori esteri, mentre è molto più comune che sia condiviso da entrambi, in misura diversa a seconda dell’elasticità della domanda. Generalmente comunque i prezzi tendono a salire, facendo così aumentare l’inflazione. Ed il problema è che l’inflazione è un processo che comincia dall’incremento del prezzo di pochi beni e finisce per investirne molti altri senza controllo. Questo produce effetti molto negativi nella vita delle persone.Allo stesso tempo se i produttori nazionali saranno capaci - in questo caso quelli statunitensi - le imprese locali approfitteranno dei dazi per produrre in loco e recuperare mercato, sviluppando nuova occupazione.
Di conseguenza, purtroppo, al netto di costi e benefici possibili dalla introduzione di questa strategia, non è possibile prevedere in forma generalizzata l’effetto finale dei dazi perché la combinazione delle possibilità e delle conseguenze dipenderà da molti fattori. E non è possibile neanche prevedere se le imprese locali - quelle statunitensi - torneranno a produrre in casa i loro beni perché c’è un fattore che molti dimenticano e che la rivista accademica della Università di Harvard ha fatto presente: la tecnologia non è più di dominio esclusivo degli Stati Uniti su una enorme categoria di produzioni.
La conoscenza si è spostata altrove e molti altri Paesi nel mondo sono capaci di produrre beni richiesti dal mercato.
Chi ci guadagna alla fine? I Governi che incassano i dazi tramite le dogane.
E in Europa? L’Unione Europea è un mercato doganale unico e non è possibile che un singolo stato possa imporre dazi di sua spontanea volontà senza passare per le decisioni del Consiglio Europeo e del Parlamento. Questo rende la nostra comunità, attualmente, molto più vulnerabile per mere ragioni di lentezza nella risposta alle politiche americane.
I dazi sono uno strumento che a partire dagli anni Novanta la comunità internazionale ha cercato di limitare, anche grazie ad accordi commerciali e alla partecipazione di un numero crescente di paesi all’Organizzazione mondiale del commercio, un ente internazionale che ha l’obiettivo di favorire il libero scambio e limitare misure protezionistiche e arbitrarie che potrebbero ostacolare i commerci.
E proprio rispetto alla tenuta di quegli accordi che si giocheranno gli effetti finali di quanto sta accadendo.
*Dottore Commercialista - Revisore Legale
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