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Il commercialista

Recidiva Zero, nuova iniziativa a favore dei detenuti

Accordo tra Ministero della Giustizia e Cnel per affrontare il reinserimento delle persone che escono dalle carceri italiane

Recidiva Zero, nuova iniziativa a favore dei detenuti

Recidiva Zero, nuova iniziativa a favore dei detenuti

L’incremento di questi ultimi anni dei decessi e dei suicidi in carcere e l’aumento delle recidive da parte degli ex detenuti ha spinto in questi mesi il Ministero della Giustizia e il Cnel a sviluppare un accordo interistituzionale per affrontare le questioni connesse al reinserimento delle persone che escono dalle carceri italiane e non trovano occasione di reinserimento.

La serie di misure dovrebbe connettere le istituzioni carcerarie e la società mettendo assieme le imprese, i sindacati, il volontariato, il sistema scolastico e universitario e gli enti locali. Stando alle informazioni di progetto, le misure dovrebbero essere vantaggiose per tutti, sia per i detenuti a cui è offerto un percorso di reinserimento e risocializzazione che per l’economia locale, trasformando la spesa penitenziaria in una opportunità di investimento produttivo. Le terze parti in causa sarebbero rappresentate dalle vittime dei reati che verrebbero coinvolte anche attraverso una forma di restituzione finanziaria dai proventi della attività lavorativa prodotta. Formazione e lavoro per contrastare le recidive e dare senso al principio costituzionale di rieducazione della pena.

I dati segnalati da CNEL e dal Ministero della Giustizia danno uno spaccato della situazione economica e lavorativa del mondo carcerario piuttosto critica. Su circa 60 mila detenuti solo 20 mila di essi hanno un impiego e nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di lavori svolti all’interno del carcere per servizi domestici, industriali, agricoli, artigianali. La normativa prevede che per tali cittadini sia riconosciuta una remunerazione pari a due terzi di quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali di lavoro, siano inoltre riconosciute le ferie remunerati, la remunerazione per malattia e i contributi assistenziali e pensionistici. Per questa categoria di detenuti lo Stato ha impiegato solo nel 2022 oltre 120 milioni di euro senza però avere certezza che a fine pena si abbia un reinserimento effettivo. Una minima parte inoltre svolte attività lavorativa esterna per imprese o enti del terzo settore, provando l’esperienza mista della vita nel carcere e di quella esterna.

E’ la commissione per la riforma del sistema penitenziario, istituita presso il Ministero della Giustizia a sottolineare che il “mercato” del lavoro penitenziario è troppo sottosviluppato. L’offerta resta modesta assieme alla sua qualità, riservata ad attività piuttosto semplici, in un mondo in cui la complessità del lavoro richiede sempre maggiori skills culturali e professionali. E così nonostante da diversi anni si vadano sottoscrivendo protocolli di ogni tipo con il mondo imprenditoriale e quello associativo, i risultati sono puntualmente modesti e spesso si basano sulla disponibilità e sulla buona volontà dei direttori delle carceri, chiamati in prima linea ad affrontare i problemi di ricollocazione, con progetti e iniziative. Altro tema riguarda la casistica dei detenuti per reati gravi per i quali l’accesso al lavoro è vietato dalla legge sia per ragioni di sicurezza che per garantire la certezza della sanzione penitenziaria. Ma anche per costoro, l’accesso al lavoro e il reinserimento sociale soprattutto a fine pena costituirebbero un valido supporto al cambiamento.

Da un altro punto di vista le imprese non sono preparate a gestire processi connessi con il lavoro in carcere. Il management aziendale non ha specifiche competenze e non esiste personale di mediazione tra due mondi che restano separati. Oltremodo la popolazione detenuta, rileva il CNEL, ha generalmente una istruzione o professionalizzazione piuttosto bassa. Così solo 2000 detenuti sono coinvolti in processi produttivi fuori dalle carceri per una percentuale bassissima che si aggira attorno al 4% della intera popolazione penitenziaria. Nel 2022 i dati del Ministero della Giustizia segnalano che la richiesta di assunzione di personale carcerario riguarda solo 456 imprese sebbene ad esse sia riconosciuto un forte incentivo alla assunzione. Circa un quarto del costo del lavoro è completamente esentato dal carico fiscale e contributivo delle imprese.

La sfida promossa dal Governo è quella di lavorare tra più istituzioni per sanare i deficit generali esposti in precedenza e tornare a garantire un vantaggio per tutti. L’accordo tra CNEL e Ministero della Giustizia prevede da un lato lo snellimento degli adempimenti per le imprese e gli enti del terzo settore che intendano assumere e formare i detenuti e dall’altro la semplificazione dei processi per la concessione di agevolazioni e incentivi fiscali. Al CNEL sarà affidato il compito di fare da ponte istituzionale con i sindacati e le università, attraverso la conferenza dei rettori italiani, per promuovere la copertura e la realizzazione di percorsi di formazione universitaria, fornire attività di supporto logistico nella istruzione dei detenuti. Per il coordinamento è istituita la figura di un Segretariato permanente presso il CNEL. Tutti gli enti locali saranno coinvolti necessariamente a vario titolo, in particolare nella realizzazione di processi di inserimento lavorativo presso gli stessi, ove possibile e per mansioni di pubblica utilità.

Perché puntare poi sulla formazione? Perché i dati in possesso del Ministero della Giustizia rilevano che il 57% dei detenuti è in possesso della licenza media inferiore e che il 17% degli stessi ha completato solo le scuole elementari. Una quota pari al 6% risulta completamente analfabeta. Un ulteriore 17% è in possesso di un titolo di istruzione superiore e circa 600, su 60 mila, hanno conseguito una laurea; si tratta dell’1%. Questi dati indicano che il problema del reinserimento rispetto alla evoluzione della domanda di lavoratori, si scontra con una qualità delle capacità professionali dei cittadini, in particolare di quelli detenuti, che non può rappresentare una base di offerta sufficiente. In carcere studia il 31% della popolazione. Di tale valore solo la metà riesce a superare il percorso di studi mentre va molto meglio nei percorsi di formazione professionale. Queste le ragioni che hanno messo assieme le due istituzioni le quali puntano ad allargare percorsi di condivisione di questo progetto con altri e numerosi enti. Il reinserimento oltre ad avere effetti necessari per evitare recidive ha anche la capacità di interrompere la trasmissione ed il contagio della tendenza a delinquere tra generazioni, scongiurando l’ereditarietà della devianza.

Dottore Commercialista
Revisore Legale

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