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Il commercialista

Cartelle esattoriali, 1.100 miliardi non sono recuperabili

Rimarcata la funzione del concordato preventivo biennale

Tasse

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La notizia si rincorre da qualche tempo ma il Direttore Generale di Agenzia Entrate la rimarca ancora una volta nel corso di una audizione riservata alla stampa specializzata dello scorso primo febbraio provando a fare appello al Governo, come aveva fatto con tutti quelli precedenti, da quello Renzi, a quello Conte e poi Draghi.

In pancia lo Stato vanterebbe crediti verso i cittadini per cartelle esattoriali nella misura di oltre 1.200 miliardi di euro ma l’aspetto estremamente grave è che il 92% circa è irrecuperabile e da stralciare. 1.100 miliardi di euro quindi non sarebbero più incassabili dallo Stato e si andrebbero a sommare, di contro, ai 2.800 miliardi di euro di debito pubblico creando una falla mostruosa di 3.900 miliardi di euro. La notizia rimarca alcune considerazioni di fondo, la prima delle quali è che probabilmente tutto lo sforzo messo in campo per contrastare l’evasione fiscale e che si tramuta di conseguenza in accertamenti fiscali e cartelle esattoriali, alla fine non produce il risultato atteso e che il contrasto all’evasione dovrebbe avvenire in forma preventiva, colpendo principalmente coloro i quali manifestano palesi differenze tra le spese sostenute e i redditi dichiarati.

All’incontro era presente anche il Viceministro Leo che ha affermato che, oltre i carichi in dilazione regolare per 18,8 miliardi di euro, solo 101,7 miliardi sui 1.200 presenti nel Bilancio dello Stato, sono recuperabili e che di conseguenza qualcosa occorre cambiare nei termini del rapporto tra fisco e contribuenti. Durante l’evento si è rimarcata la funzione del concordato preventivo biennale, di cui abbiamo scritto nell’articolo della scorsa settimana, sincerando i cittadini che non ci sarà nessun automatismo nei controlli per chi non aderirà alla misura. Piuttosto la dinamica degli accertamenti fiscali per il prossimo futuro si sposterà esattamente nella direzione citata. Prevenire l’evasione colpendo coloro i quali spendono di più di quanto dichiarano. Altro dato sensibilmente complesso da segnalare, oltre l’importo in termini di valore, riguarda la numerosità degli atti da gestire da parte di Agenzia Entrate. Dei 1.200 miliardi di euro di crediti che l’Erario vanterebbe nei confronti del fisco, la numerosità degli atti originari dai quali tale importo proviene si attesta sui 163 milioni di documenti di verifica fiscale, tra cartelle, avvisi di accertamento e avvisi di addebito.

Un numero incredibilmente alto e che mette in serie difficoltà gli uffici della amministrazione dello Stato. Sono inoltre 22,4 milioni i contribuenti che hanno almeno un debito con Agenzia della Riscossione, di cui 3,5 milioni le società o altri enti e 18,9 milioni le persone fisiche. Tra questi ultimi solo 3 milioni sono quelli con Partita IVA. E questo significa che circa 16 milioni di cittadini italiani non esercenti attività autonoma o di impresa si trova in difficoltà con il fisco e di conseguenza la provenienza del debito non deriva da un accertamento per attività economica. Terribile è anche il dato afferente l’irrecuperabilità che una volta approfondito fa emergere che circa 483 miliardi di euro risultano intestati a persone decedute, soggetti nullatenenti, imprese cessate o fallite, le cui procedure risultano anche concluse. Altri 502 miliardi di euro sono riferiti a soggetti verso i quali sono state tentate misure di riscossione ma senza esito. Circa 80 miliardi di euro risultano in contenzioso e quindi la loro riscossione è sospesa e per differenza solo 101 miliardi sarebbero potenzialmente riscuotibili.

Il condizionale è d’obbligo perché pure quelli potrebbero finire prima o poi nel novero dei crediti irrecuperabili per ragioni diverse. Il direttore dell’Agenzia delle entrare ha inoltre sottolineato l’importanza delle ultime disposizioni che hanno facilitato la modalità di accesso e permanenza dei pagamenti a rate di cartelle, modalità che attualmente interessa ben 50% dell’intera riscossione. Interessante e ultima notizia, che sarà oggetto di approfondimento nei prossimi giorni, riguarda la possibile riapertura dei termini della rottamazione quater. Scaduti ormai lo scorso anno La modifica potrebbe arrivare come emendamento del relatore al decreto Milleproroghe e sarebbe il secondo salvataggio per coloro che sono decaduti dalla definizione agevolata. L’idea allo studio è di dare tempo fino al 28 febbraio per pagare le prime due rate, scadute il 31 ottobre e 30 novembre 2023, ed essere così riammessi. La normativa prevede che i benefici della definizione agevolata vengano meno in caso di omesso, insufficiente o tardivo (superiore ai 5 giorni) pagamento. Già a dicembre con il decreto anticipi, l’esecutivo aveva concesso una mini-riapertura dei termini, fino al 18 dicembre, per pagare il dovuto senza sanzioni né interessi di mora. Sono tre milioni i contribuenti che hanno fatto domanda per la rottamazione quater, con la possibilità di pagare in un’unica soluzione (entro il 31 ottobre 2023) o in massimo 18 rate consecutive: le prime due, le più corpose, sono il 10% dell’intera somma; le successive (con scadenze 28 febbraio, 31 maggio, 31 luglio e 30 novembre di ciascun anno) di pari importo.

Ma non è questo l’unico salvagente fiscale che potrebbe arrivare con il Milleproroghe. Una serie di emendamenti identici di Fi, Lega e Iv chiede di dare tempo fino al 31 marzo 2024 per completare la regolarizzazione prevista dal ravvedimento speciale sulle dichiarazioni dei redditi.

*Dottore Commercialista - Revisore Legale

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