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IL COMMERCIALISTA
01 Giugno 2023 - 20:18
Ammonta a 25 miliardi di euro il valore dei redditi assoggettati alla flat tax
Una intuizione bipartisan, nata oltre 10 anni fa da una proposta del Vice Premier Veltroni, poi sostenuta dal Ministro Tremonti, poi ancora dal Governo Renzi ed oggi da quello Meloni, è stata quella di puntare su una severa semplificazione dei processi di gestione degli adempimenti delle partite IVA di soggetti minori.
Nacque così il regime speciale di franchigia IVA, poi quello dei contribuenti semplificati, poi quello dei forfettari con le varie soglie massime di fatturato.
Solo che nessuno, credo, si aspettasse che questa formula semplificata non solo facesse emergere radicalmente migliaia di soggetti doppio lavoristi completamente sconosciuti al fisco, ma spingesse anche per un generale boom di lavoratori autonomi e piccole imprese al punto da toccare oggi quasi il 50% del totale.
Sono dati forniti dal MEF che sulla base delle rilevazioni 2021, dello scorso anno appunto, classifica in oltre 25 miliardi di euro il valore dei redditi assoggettati alla flat tax italiana.
La lettura del dato va fatta anche da un punto di osservazione differente, ovvero che la concentrazione in Italia del reddito prodotto dalle piccole e piccolissime imprese resta ancora elevatissimo, a discapito della competitività con il mercato estero, europeo, asiatico e statunitense, nel quale la concentrazione di determinati colossi imprenditoriali consente margini di sviluppo di portata assai più grande.
Ad ogni modo, che il tessuto imprenditoriale italiano fosse storicamente composto da imprese minori è una questione più culturale che di sviluppo e la soglia delle partite IVA aderenti al sistema forfettario tocca oggi 1,7 milioni di soggetti su 3,7 milioni totali.
Regime forfettario e Flat Tax sono sostanzialmente identificatori di uno stesso concetto fiscale nel nostro Paese.
La formula garantisce una enorme semplificazione gestionale ed una riduzione della pressione fiscale a fronte della quale il contribuente rinuncia alla progressività della imposta ma anche alla deduzione di costi di qualsiasi natura.
Questo rende anche più semplice la gestione dei controlli da parte del Fisco che deve concentrarsi esclusivamente sulle fatture emesse e nulla altro.
Questo regime semplificato ha portato già dal 2023 ad un incremento della soglia massima di fatturato ammissibile per l’agevolazione, che passa dai precedenti 65 mila euro agli attuali 85 mila, ma attenzione, non è un sistema sempre conveniente per tutti.
Per riassumere: è possibile entrare nel sistema forfettario solo se si è imprenditori individuali o lavoratori autonomi, sono escluse le società di qualsiasi tipo.
Si può aderire al regime anche se si è lavoratori dipendenti ma non si conseguono redditi lordi da lavoro dipendente superiori ad € 30.000.
L’aliquota fiscale applicata ai soggetti aderenti al regime è pari al 5% per i primi 5 anni ed al 15% per i successivi senza limite di età e senza limite di tempo purché la propria soglia di fatturato non superi quella prevista dai limiti fissati dalla legge - 85 mila euro appunto -.
L’aliquota al 5% è garantita alle nuove iniziative imprenditoriali o professionali, il transito da precedenti contesti fiscali in quello forfettario non garantisce lo stesso diritto.
L’imposta è di tipo sostitutivo, cioè si paga solo sul reddito prodotto con partita IVA a nulla rilevando di conseguenza oneri deducibili ai fini IRPEF. La conseguenza è che in sostanza il contribuente forfettario non può andare a credito fiscale come succede invece per i normali soggetti IRPEF.
Altra conseguenza è che i redditi IRPEF e quelli Forfettari non si cumulano mai e così chi li percepisce entrambi potrebbe trovarsi nella condizione di pagare imposte diverse ma allo stesso tempo, se a credito IRPEF, compensare anche le imposte di tipo flat del regime forfettario.
Il soggetto in regime forfettario non applica l’IVA in fattura, allo stesso tempo non detrae neanche l’IVA sugli acquisti effettuati durante la normale attività che svolge. Se la sua attività sarebbe normalmente soggetta alla applicazione di una ritenuta d’acconto, questa non si applica in regime forfettario.
Il soggetto in regime forfettario, come già detto, non deduce alcun costo ad eccezione dei contributi previdenziali che versa ad INPS o ad altra Cassa di Previdenza Privatistica.
Così il suo reddito forfettario sarà stabilito dalla differenza tra il fatturato realizzato, al netto di una percentuale di sconto fissata dalla legge e che dovrebbe rappresentare una forfetizzazione dei costi sostenuti, e il valore dei contributi previdenziali versati.
Su questo tema si apre tuttavia uno scenario non favorevole.
A causa del fatto che, per i soggetti forfettari, il reddito imponibile è costituito senza tenere conto dei costi subiti, i contributi da versare sono calcolati su una base imponibile anche essa forfettaria e che potrebbe non coincidere con quella reale, con la conseguenza generale che il contribuente pagherà contributi pieni quasi sempre, anzi a volte leggermente maggiorati.
Potrà, l’anno successivo, dedurli ovviamente, ma andranno versati.
Il soggetto che fruisce di questa agevolazione non ha obblighi contabili, deve solo conservare le fatture ed emetterle in formato elettronico seguendo la nuova disciplina dettata per il 2023.
Può assumere un dipendente ma nella misura massima di emolumenti fissati in euro 20 mila lordi l’anno, tra l’altro non deducibili.
Francesco Andrea Falcone
Dottore Commercialista - Revisore Legale
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