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Ciò che resta di Gaza
21 Ottobre 2025 - 08:55
Sabah Abu Ghanem un tempo era una celebrità a Gaza. Una surfista in un luogo dove poche persone, e ancora meno donne, praticano questo sport. Poi ha smesso. Si è sposata e ha avuto tre figli. Sognava di fondare un club per insegnare alle ragazze a nuotare e fare surf. Prima della guerra, i suoi ragazzi parlavano del futuro, degli studi e di cosa avrebbero fatto da grandi. Oggi si scambiano consigli su come accendere un fuoco per cucinare, come procurarsi l'acqua per lavarsi. Ora il sogno di Ghanem è lasciare Gaza per il bene dei suoi ragazzi: "Voglio che godano di una vita molto migliore della mia, Gaza non è un posto per la vita o per i sogni".
Questa famiglia, come tante, ha abbandonando un affollato accampamento di tende nel sud del territorio della striscia, per tornare finalmente a Gaza City. Il loro quartiere è stato distrutto, come tutto qui. Si sono sistemati sotto lo scheletro di cemento di quella che un tempo era la loro casa: "Queste macerie su questo pezzo di terra sono ciò che ci resta..." Altri non hanno trovato alcuna traccia degli edifici in cui abitavano, hanno portato via anche le macerie.
Come loro, migliaia di palestinesi, hanno fatto ritorno nei luoghi da cui erano fuggiti per salvarsi la vita, nella speranza di ricominciare a vivere nella normalità. Normalità: un obiettivo lontano se non impossibile. Tutto è andato perduto, anche la speranza. L'entusiasmo per il cessate il fuoco stride con la condizione di devastazione della striscia e la disperazione dei palestinesi.
Prima della guerra Gaza era densamente popolata, cuore politico, economico e culturale del territorio. Edifici governativi, università e molti ospedali non esistono più. La rete elettrica è fuori uso da quando Israele ha interrotto le forniture nei primi giorni di guerra. L'acqua potabile è difficile da trovare.
Per aumentare le consegne di aiuti, il Programma Alimentare Mondiale ha affermato che ci vorrà del tempo per invertire la tendenza alla carestia. Dall'inizio del cessate il fuoco, Hamas sta cercando di riaffermare la propria autorità. Hanno ucciso quelli che considerano traditori in scontri di strada ed esecuzioni sommarie.
Il timore maggiore è quello di essere oggetto della ferocia di Hamas.
Il presente e il futuro di Gaza resta incerto, come incerta è la tregua. Il futuro è intrappolato tra le iniziative internazionali di ricostruzione, incluso il controverso piano di Trump, e le ambizioni strategiche degli attori regionali e globali.
Sembra irrealistico parlare di vera ricostruzione e stimare le risorse che sarebbero necessarie. La portata della distruzione, confermata da fonti indiscutibili e visibile sul campo, è spaventosa. Secondo il Centro Satellitare delle Nazioni Unite (UNOSAT), il programma ONU che fornisce immagini satellitari, a luglio 2025 a Gaza le strutture colpite erano 192.812, di cui 102.067 edifici distrutti e 17.421 gravemente danneggiati. il quotidiano Haaretz ha ammesso che mai nella storia di Israele, così tante case ed edifici sono stati demoliti consecutivamente in quello che è uno dei progetti ingegneristici più costosi che il paese abbia mai intrapreso.
Ma è niente rispetto alle vite dei palestinesi sacrificate.
I dati ricavati da un database classificato dell'intelligence militare israeliana hanno fatto emergere che cinque palestinesi su sei, uccisi dall'Idf a Gaza, sono civili. In base ai calcoli quindi solo il 17% dei morti sarebbe riconducile ai membri di Hamas o della jihad islamica, contro l'83% di civili. È quanto emerge da una inchiesta giornalistica condotta dal quotidiano britannico Guardian in collaborazione con "+972 Magazine", Indipendent Journalism from Israel-Palestie, secondo cui a maggio l'Idf aveva elencato in un database 8.900 combattenti di Hamas e della Jihad Islamica Palestinese come morti o probabilmente morti dall'inizio del conflitto. A quel tempo, 53.000 palestinesi erano stati uccisi dagli attacchi israeliani, stando alle autorità sanitarie di Gaza.Oggi sono molti di più e il numero stimabile è difficile stabilirlo per il conflitto fra le fonti. Di certo sappiamo che la guerra in Palestina ha colpito soprattutto i più piccoli, i più fragili, i più indifesi, che sono anche la maggioranza della popolazione. Il cessate il fuoco non ha fatto venire meno l’emergenza umanitaria.
L'ottimismo è la linfa vitale della speranza, e la speranza è ciò di cui gli esseri umani hanno bisogno per credere nel futuro e, quindi, per sopravvivere. Ecco perché la ricostruzione di Gaza merita un'attenzione costante.
Palestine Emerging prevede chela Striscia di Gaza potrebbe essere completamente ricostruita solo entro il 2050. Ciò avverrebbe attraverso un processo graduale che include il completamento dei compiti più urgenti entro il 2030, principalmente la rimozione delle distruzioni causate dalla guerra e il ripristino delle infrastrutture di base. Entro il 2040, le barriere che isolano Gaza verrebbero abbattute e si svilupperebbe la connettività regionale. Entro il 2050, gli abitanti della Striscia e i palestinesi della Cisgiordania, che ora contano 5,6 milioni, condividerebbero i benefici del commercio regionale e internazionale nel Levante.
Tuttavia, Palestine Emerging non ha indicato le risorse necessarie per realizzare il suo progetto. Inoltre, il piano è stato presentato nella primavera del 2024, quando nessuno avrebbe potuto prevedere la durata o l'esito della guerra. A quel punto, la Banca Mondiale e il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) stimavano i costi di ricostruzione per la Striscia a 53 miliardi di dollari. Ma anche questa previsione è ormai superata.
Il piano Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation Trust ("GREAT"), circolato tra i membri dell'amministrazione americana e rivelato a fine agosto dal Washington Post, è un piano roboante per il futuro di Gaza. GREAT prevede una custodia multilaterale guidata dagli Stati Uniti che porti a un autogoverno palestinese riformato. Naturalmente, tutto ciò potrebbe accadere solo "una volta disarmato Hamas". Anche lo scioglimento dell'attuale governo israeliano sarebbe utile per la realizzazione di questa impresa, sebbene questa condizione non sia stata menzionata da coloro che hanno elaborato il piano.
Il GREAT Trust intende raccogliere tra i 70 e i 100 miliardi di dollari in investimenti pubblici, innescando partecipazioni private che vanno dai 35 ai 65 miliardi di dollari. Durante la ricostruzione, sono previsti alloggi temporanei per la popolazione di Gaza rimasta nella Striscia. È inoltre garantito un piano di trasferimento in un altro Paese con "pacchetti di trasferimento" vantaggiosi.
Come Palestine Emerging, che ha diversi progetti "rivoluzionari", questo piano è molto articolato. Propone dieci megaprogetti, principalmente infrastrutturali. Quasi tutti i piani di ricostruzione concepiscono la Striscia come parte di un più ampio quadro di sviluppo regionale, collegato ad altri hub e rotte commerciali. La visione regionale di GREAT per Gaza nel 2035 vede la Striscia come un ponte verso il Mediterraneo per il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC).
Il recente "Piano Trump Blair" sulla stabilizzazione e la ricostruzione di Gaza è quello che ha maggiori probabilità di superare l'impasse, anche se, per il momento, appare molto più un'iniziativa politica che un vero e proprio progetto economico, tecnico e sociale. Oltre al ruolo di primo piano previsto per Tony Blair, l'ex Primo Ministro britannico, la pace e la ricostruzione sarebbero affidate a un governo arabo. Sarebbe composto principalmente da tecnocrati palestinesi ma non, per ora, da rappresentanti nominati dall'Autorità Nazionale Palestinese di Mahmoud Abbas con sede a Ramallah. Il suo compito principale dovrebbe essere quello di riformare strutturalmente un sistema afflitto da corruzione e inefficacia.
Di fatto, oggi non esiste alternativa migliore. Che ci piaccia o no, è la proposta che si avvicina di più, o che è meno lontana, a porre fine all'orrore a cui stiamo assistendo da due anni.
Che sia valido, fattibile, impraticabile o opportunistico, qualsiasi piano si scontra con un ostacolo insormontabile: la guerra in corso e il comportamento ostinato e pericoloso sia di Hamas che del governo israeliano.
Al momento, quello dei palestinesi è un ritorno al nulla. Ricostruire la vita qui è come cercare di piantare un albero nella pietra...
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