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Gaza: un presepe di poveri cristi

Natale, malgrado la guerra

Ci vuole tanto coraggio e infinita speranza per augurarci Buon Natale.

Natale, malgrado la guerra

Che cosa evoca il Natale durante la guerra?

Qual’è l’immagine della guerra nell’occasione che evoca la pace ?

Ci sono delle storie che per tutta la vita rimarranno impresse nella nostra memoria. Sono avvenimenti lontani che non avremmo mai pensato, ne voluto rivivere...

Gaza non assomiglia nemmeno più a una città, non è rimasto in piedi niente. Troppo forte il rumore delle bombe e del pianto di chi sente la paura nelle proprie ossa. Il Natale sepolto dalle bombe tra le macerie, nelle tenebre delle case perse insieme alla speranza. Il festeggiare non è sicuramente al primo posto dei pensieri quotidiani di tanta gente innocente. Diventa quasi un lusso e la violazione dei diritti umani ancora più evidente.

L’accesso ai beni di prima necessità come cibo, acqua e cure mediche è compromesso e le persone vivono nel costante timore per la propria sicurezza. Le festività natalizie, che in passato erano occasione di gioia e condivisione, sono oggi segnate dal dolore e dalla difficoltà. Spesso mantenere viva la tradizione natalizia è un modo per andare avanti, ma il timore per una colpevole rassegnazione è costante.

Quest’anno la festa ebraica di Hannukah coincide con il Natale. Sul tavolo di Doha si discute di una tregua alle operazioni militari nella Striscia di Gaza per almeno 60 giorni e la liberazione di ostaggi israeliani il cui numero è in fase di definizione, come lo è anche il numero di prigionieri palestinesi da scarcerare contestualmente. Guerra e provvisoria pace dunque appese a un filo di speranza.

Il Natale in una condizione di guerra, di una situazione drammatica dove si distrugge, si uccide, si muore. Una furia incontrollata si abbatte su uomini e donne sepolti sotto le macerie delle loro case, su anziani smarriti rimasti senza più sostegno e assistenza, su bambini travolti nel loro innocente quotidiano.

Se la vita cristiana è un cammino e un’assimilazione progressiva nella vita di Cristo, cosa indica alla nostra coscienza l’esperienza di povertà e di solitudine che segna l’ingresso di Gesù nella storia? Come ci interroga per tutto ciò che riguarda la vicinanza, la solidarietà con gli altri, l’accoglienza del fratello, la semplicità, la sobrietà, l’essenziale nella nostra vita? Che cosa indica il suo rivelarsi a chi non conta, a chi è emarginato, a chi svolge i lavori più umili?

Per chi ha fede il Gesù storico è il Figlio di Dio, è la rivelazione del volto del Padre: nel Natale è Dio che si fa uomo, l’Onnipotente che diviene bambino, un neonato bisognoso di cure. Il Natale è dunque la festa della sua umiliazione. Lo racconta l’apostolo Paolo nella Lettera ai Filippesi, quando parla di kenosis (Fil 2,7): «farsi nulla», «svuotarsi», privarsi della gloria divina. Gesù, venendo in mezzo a noi come uno di noi, ha accettato anche la povertà e l’umiliazione della nostra storia, fino a raggiungerne i livelli più bassi: “Si è fatto obbediente fino alla morte innocente sulla croce. Rifiutato, subendo la pena dei peggiori criminali”. È il mistero del Natale che si dipana nella vita.

Il Vangelo di Luca narra come Maria e Giuseppe debbano recarsi a Betlemme per il censimento, in obbedienza all’editto imperiale. Ma in città non c’è posto per loro, nemmeno ai margini dell’abitato. Gesù nasce come ogni bambino, ma in una grotta, in povertà e in solitudine: l’Atteso da secoli entra nella storia e non trova alloggio. Due poveri forestieri devono arrangiarsi in un rifugio di fortuna: situazione davvero paradossale per un Dio che si incarna.

Per Maria “si compirono i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia” (Lc 2,6-7). Come tutti i bambini, Gesù che nasce è avvolto in fasce e la sua culla improvvisata è una mangiatoia, dove viene posto il foraggio per il bestiame.

Le fasce e la mangiatoia sono un segno per i pastori che si trovano nelle vicinanze, è Dio che entra nella storia degli uomini per essere loro vicino, è il Signore che per primo si fa conoscere ai pastori che vegliano il gregge, a persone che lavorano, ma che non hanno grande importanza. Gente semplice, povera, umile. Gente senza storia e senza diritti, senza un volto preciso se non quello segnato dal lavoro. Gente che si porta in spalla un agnellino appena nato, che del mondo conosce solo il colore del cielo, l’erba del prato, il latte munto alle pecore, il tempo della tosatura della lana. Eppure è gente che veglia e che accorre. I pastori sono i primi che scoprono il mistero di Dio nel Figlio di Maria.

I ricchi verranno dopo, persone istruite ma libere da ogni forma di presunzione. Conoscono le Scritture e sanno riconoscere i segni del cielo. Sono i Magi che si metteranno in cammino liberi dalla loro scienza e dal loro sapere guidati da una stella…

Nel presepe di Greggio pensato da Francesco c’era la mangiatoia, l’asino e il bue. Nient’altro. Non voleva mettere in scena la nascita di Gesù, ma ricordare a tutti che era nato povero in un posto di povera gente identica a tanti poveri cristi in ogni parte del mondo.

Francesco combatte la battaglia di Collestrada nel 1202 contro i nobili di Assisi, è figlio di un ricco mercante. Lascia tutte le ricchezze. Sceglie la povertà. Dice che “se possiedi qualcosa sei costretto a difenderla e diventi violento”.

Nel 1219 si reca in Egitto. Ai crociati ricorda il quinto comandamento: non uccidere. Ma non lo stanno a sentire. Prova a parlare anche con i musulmani, ma la guerra continua lo stesso.

Torna a casa con l’idea che non serve a niente conquistare quel pezzo di terra dove è nato Gesù. Che la terra è tutta uguale e che Betlemme è solo un posto di povera gente che somiglia a tanti altri nel mondo.

Quella terra è ancora oggi un posto di poveri cristi.

A settanta chilometri a sud-ovest assistiamo a una nuova strage. I numeri sono altri perché la tecnologia permette di essere più “performanti” dei soldati di Erode.

Hamas ha bruciato i bambini e squartato il corpo delle donne. Israele giustifica il diritto/dovere di reagire e difendersi per colpire i terroristi, che gran parte del mondo considera una carneficina sproporzionata. Oggi anche Gaza è un presepe vuoto come quello di Francesco. In quella guerra ci sono tutte le guerre. Tra quei morti ci sono tutti i morti che non possiamo giustificare.

Come può il Creatore dell’universo tornare ad incarnarsi in un mondo tanto povero di dignità, per poi finire ancora sulla croce?

Le conseguenze del conflitto graveranno durissime, soprattutto sui più deboli.

A Gaza intanto il fragore della guerra continua senza sosta. il ministro israeliano Itamar Ben-Gvir ha dichiarato che l'attuale proposta di tregua mette in pericolo la sicurezza di Israele, sostenendo che l’unico modo per liberarli è colonizzare Gaza e spingere per la «migrazione volontaria» dei palestinesi dalla Striscia, di fatto una loro espulsione di massa.

Una drammatica realtà che ci rimanda ad un passato lontano.

Eppure Cristo nascerà ancora una volta per noi...

Ci vuole tanto coraggio e infinita speranza per augurarci Buon Natale.

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