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Un Patto politico e sociale
14 Ottobre 2024 - 07:41
La tenuta del SSN è prossima al punto di non ritorno. I segnali sono ormai evidenti e indiscutibili: crisi del personale; frattura Nord-Sud; spesa delle famiglie a +10,3%; 4,5 mln di persone rinunciano alle cure di cui 2,5 milioni per motivi economici; -18,6% speso per la prevenzione; le inaccettabili diseguaglianze regionali e territoriali; la migrazione sanitaria e i disagi quotidiani sui tempi di attesa e sui pronto soccorso affollati. Cresce il divario della spesa sanitaria pubblica pro capite(€ 889) rispetto alla media dei paesi Ocse membri dell’Unione Europea. Un gap complessivo che sfiora i € 52,4 miliardi. Sono stati ormai traditi i princìpi fondanti di universalismo, equità e uguaglianza e si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli: gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate.
Perdere il Ssn significa compromettere la salute delle persone, mortificarne la dignità, ridurre le loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi per la propria vita.
La grave crisi di sostenibilità è in primo luogo la conseguenza del definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i Governi, che hanno sempre visto nella spesa sanitaria un costo da tagliare ripetutamente negando una priorità su cui investire in maniera costante. Con l’obiettivo di mantenere il consenso elettorale hanno scelto di ridurre il perimetro della tutela pubblica per aumentare i sussidi individuali, ignorando deliberatamente che qualche decina di euro in più in busta paga non compensano certo le centinaia di euro da sborsare per un accertamento diagnostico o una visita specialistica.
Nel periodo pre-pandemico (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro tra “tagli” per il risanamento della finanza pubblica e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati. Negli anni 2020-2022 il FSN è aumentato di 11,6 miliardi di euro, una cifra tuttavia interamente assorbita dai costi della pandemia, che non ha permesso un rafforzamento strutturale del Ssn né consentito alle Regioni di mantenere in ordine i bilanci. Per gli anni 2023-2024 il Fondo Sanitario Nazionale è aumentato di 8.653 milioni euro, tuttavia nel 2023, 1.400 milioni sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre 2.400 milioni sono destinati ai doverosi rinnovi contrattuali del personale.
Le previsioni per il prossimo futuro non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità.
Secondo il Piano strutturale di Bilancio deliberato lo scorso 27 settembre in Consiglio dei Ministri, il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027. A fronte di una crescita media annua del Pil nominale del 2,8%, nel triennio 2025-2027 il Piano strutturale di Bilancio stima una crescita media della spesa sanitaria del 2,3% annuo. Continua quindi un progressivo definanziamento del Ssn che non tiene conto dell’emergenza sanità e prosegue ostinatamente nella stessa direzione dei Governi precedenti.
Le persone sono costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie, con pesanti ripercussioni sui bilanci familiari. Una situazione in continuo peggioramento, che rischia di lasciare l’universalismo del Ssn solo sulla carta, visto che l’accesso alle prestazioni è sempre più legato alla possibilità di sostenere personalmente le spese o di disporre di un fondo sanitario o una polizza assicurativa, che, in ogni caso, non potranno mai garantire nemmeno ai più abbienti una copertura totale come quella offerta dal Ssn.
La spesa pagata direttamente dai cittadini nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% (+€ 5.326 in 10 anni), nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% (+€ 3.806 milioni) in un solo anno.
Una cifra enorme e certamente sottostimata, in quanto arginata da vari fenomeni: la limitazione delle spese per la salute, l’indisponibilità economica temporanea e, soprattutto, la rinuncia alle cure.
L’Istat stima che, nel 2023, 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno, per uno o più motivi: lunghi tempi di attesa, difficoltà di accesso (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi), problemi economici (impossibilità di pagare, costo eccessivo). E per motivi economici nel 2023 hanno rinunciato alle cure quasi 2,5 milioni di persone (4,2% della popolazione), quasi 600.000 in più dell’anno precedente.
In questo quadro allarmante la prevenzione rappresenta una ulteriore spia del sotto-finanziamento che costringe Regioni e Aziende sanitarie a sottrarre risorse ad un settore che, per quanto fondamentale, viene praticamente considerato differibile. Tagliare oggi sulla prevenzione avrà un costo altissimo in termini di salute negli anni a venire, documentando la miopia di queste scelte di breve periodo.
La sanità pubblica sta sperimentando una crisi del personale sanitario senza precedenti aggravata da una crescente frustrazione e disaffezione per il Ssn. Turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate ed escalation dei casi di violenza stanno demolendo la motivazione e la passione dei professionisti, portando la situazione verso il punto del non ritorno.
Oltre ai medici di famiglia, alcune specialità mediche fondamentali non sono più attrattive per i giovani medici, che disertano le specializzazioni in medicina d’emergenza-urgenza, medicina nucleare, medicina e cure palliative, patologia clinica e biochimica clinica, microbiologia, e radioterapia.
Il numero di infermieri è largamente insufficiente e, soprattutto, le iscrizioni al Corso di Laurea sono in continuo calo, con sempre meno laureati». Con 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti (figura 4), l’Italia è ben al di sotto della media Ocse (9,8), collocandosi tra i paesi europei con il più basso rapporto infermieri/medici (1,5 a fronte di una media europea di 2,4).
Rispetto ai Livelli essenziali di assistenza, le prestazioni e i servizi che il Ssn è tenuto a fornire a tutti i cittadini gratuitamente o dietro il pagamento di un ticket, solo 13 Regioni, nel 2022, rispettano gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aumento del divario.
Siamo di fronte ad una vera e propria frattura strutturale Nord-Sud nell’esigibilità del diritto alla tutela della salute. La mobilità sanitaria evidenzia la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, con i residenti delle Regioni del Centro-Sud spesso costretti a spostarsi in cerca di cure migliori. L’aumento della migrazione sanitaria ha effetti economici devastanti non solo sulle famiglie ma anche sui bilanci delle Regioni del Mezzogiorno, che risultano ulteriormente impoverite. L’autonomia differenziata affonderà definitivamente la sanità del Mezzogiorno, assestando il colpo di grazia al SSN e innescando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti che avrà conseguenze devastanti per milioni di persone.
La Missione Salute del Pnrr è una grande opportunità, che rischia di essere vanificata se non integrata in un piano di rafforzamento complessivo della sanità pubblica: non può e non deve diventare una costosa “stampella” per sorreggere un SSN claudicante. La legge sull’autonomia differenziata va “in direzione ostinata e contraria” agli obiettivi dell’intero Pnrr che prevedono di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali. Così facendo, non solo si tradiscono le finalità del Pnrr, ma si indebitano le future generazioni per aggravare ulteriormente le disparità nell’accesso alle cure tra Nord e Sud.
Invece di legittimare normativamente le diseguaglianze regionali con l’autonomia differenziata, per aumentare il ritorno in termini di salute delle risorse investite in sanità, è indispensabile rilanciare progressivamente il finanziamento pubblico, rivalutare il perimetro dei LEA basato sull’evidenza e sul valore, ridurre sprechi e inefficienze e attuare una riforma della sanità integrativa, e potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, avviando un programma di informazione scientifica della popolazione.
Un azione che richiede coraggiose riforme nell’attuale sistema di finanziamento, pianificazione, organizzazione ed erogazione dei servizi sanitari, da attuare parallelamente al rilancio del finanziamento pubblico. Senza un progressivo e consistente rifinanziamento del SSN non è possibile attuare alcuna riforma per rilanciarlo; senza una visione chiara e un piano coerente di riforme coraggiose, l’aumento del finanziamento pubblico rischia di disperdersi in misure volte a risolvere problemi contingenti, risultando non coordinate, inefficaci e incapaci di garantire un ritorno adeguato in termini di salute delle risorse investite.
Un nuovo patto politico e sociale, che superi divisioni ideologiche e avvicendamenti dei Governi, riconoscendo nel Ssn un pilastro della nostra democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore per lo sviluppo economico dell’Italia. Un patto che chiede ai cittadini di diventare utenti informati e responsabili, consapevoli del valore del Ssn, e a tutti gli attori della sanità di rinunciare ai privilegi acquisiti per salvaguardare il bene comune.
E’ ormai scaduto il tempo della “manutenzione ordinaria. E’ il tempo di attuare riforme coraggiose.
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Testata: Buonasera
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