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La storia

Libri, penne e quaderni... Quando in via Duomo c’era Don Salvatore

Gli acquisti per la scuola (e non solo) nel negozio di Mazzolino

Città Vecchia, una foto d'epoca di via Duomo

Città Vecchia, una foto d'epoca di via Duomo

Tempo di apertura dell’anno scolastico, con la prospettiva di riprendere la fatica degli studi, lasciandosi alle spalle la spensieratezza dell’estate (anche se ci vorrà ancora un po’ prima dell’ultima nuotata). In questi giorni si è alle prese con l’acquisto dei libri di testo e di ogni altro materiale scolastico. Ormai si fa tutto (o quasi) su internet o negli ipermercati. Ma un tempo c’era il negozio di Mazzolino, in via Duomo.

Cartolibraio, edicolante, editore e perfino giocattolaio: tutto questo era Salvatore Mazzolino (Pozzuoli, 25/12/1866) - Taranto 6/4/1942), figura nota in Città vecchia al cui esercizio, in questi tempi, le famiglie si rivolgevano per l’acquisto di materiale scolastico e libri di testo. Fra questi ultimi, Giacinto Peluso in “Taranto: dall’Isola al Borgo”, edito da Comune e Regione Puglia, ricordava “Le mie perle”, i “Sussidiari”, “Diritti e doveri”, “Pas à pas” di Michele De Noto.

Fra i titoli di spicco della sua produzione editoriale c’erano invece “Taranto… tarantina - Contributo allo studio delle tradizioni popolari” di Cosimo Acquaviva (1931) e “Guida di Taranto” di Andrea Martini (1901.

Salvatore Mazzolino iniziò la sua attività alla fine del 1800 a palazzo Zigrino, in via Duomo 196, trasferendosi poi poco più in là, al civico 180 (dove ora c’è una salumeria) affianco a vico Madonna del Pozzo, che conduce alla chiesetta della Madonna della Scala. Ammirata era l’elegante vetrinetta, allestita all’interno, con l’esposizione di pipe d’ambra, bocchini d’avorio e tabacchiere. Durante la Settimana Santa egli non mancava di trasformare il negozio un vero “sepolcro”, “col Cristo, con l’Addolorata, coi candelabri, coi fiori, con tutto”, come descrivono le cronache dell’epoca.

Don Salvatore indossava sempre un vestito blu, leggero d’estate e pesante d’inverno, camicia bianca con collo e polsini inamidati, farfallino granata e l’immancabile garofano all’occhiello. Ai primi caldi, come la maggior parte degli uomini del tempo, l’esercente sostituiva l’imponente “borsalino” grigio ferro con “’a pagliette” e riponeva nel cassetto le ghette grigie che gli riscaldavano i piedi in inverno. La consorte, donna Carmelina, piuttosto bassa e tendente alla pinguedine, veniva ricordata da Peluso soprattutto per gli abiti fuori moda. L’unico svago che si concedevano era l’uscita la domenica mattina per andare a messa e fare due passi in via Duomo. Tutta l’antica Via Maggiore allora era un salotto, soprattutto il tratto compreso tra vico Statte e vico De Cristiano, brulicante di negozi a conduzione familiare, i cui titolari mantenevano fra loro rapporti di buon vicinato e aiuto reciproco. Fra questi, Peluso ricordava don Giovanni Catapano con la dolce consorte che tutti chiamavano “zia Francesca”, don Luigi Amodio con instancabile donna Luisa, don Luigi Pisapia e tanti altri ancora. Il “don”, va sottolineato, era in uso per i commercianti di un certo livello, anche se per molti era più facile ricordarli con il soprannome: “Fucia fuce”, “Cinghe e sei”, “Quarantotte”, “Mienzecule”, “Sciabbecche”, “Sparetiedde” ecc.

In estate i coniugi Mazzolino si spingevano su corso Due Mari per gustare un gelato o una bibita rinfrescante del Bar Italia, all’angolo di via Archita (ora via Matteotti). Molti si fermavano al loro tavolino per due chiacchiere di circostanza o per chiedere anteprime sulle pubblicazioni di prossima uscita. In autunno, di mattina presto, gruppi di studenti avrebbero ripreso a transitare su via Duomo per recarsi a scuola, non mancando, davanti all’esercizio, di salutare il titolare, impegnato a vendere pennini e cartoncini da disegno, boccette d’inchiostro “Pessi” e soprattutto quei quaderni con la copertina nera (quelli a quadretti recavano nell’ultima pagina il riquadro con le tabelline per l’ultimo ripasso). Talvolta i “panarjidde” lo prendevano in giro gridando il suo nome, subito seguito da versacci. Ma don Salvatore stava al gioco e, senza alterarsi, rispondeva “Salute, amico, lascia aperto, vengo subito”, fra le risate generali. Tutti i ragazzi erano affezionati a quell’uomo, buono e disponibile, nei quali lui, a sua volta, vedeva quei figli che non poté avere.

Mazzolino aprì anche una cartolibreria in un chiosco di piazza Garibaldi, nei pressi di via Margherita, per la clientela del Borgo restia a oltrepassare il ponte girevole

Alla sua morte, l’attività in via Duomo fu rilevata dal signor Antonante, suo dipendente, ma per tutti quello continuò a essere il negozio di Mazzolino. Questo, fino alla chiusura avvenuta ai primi degli anni settanta, quando il titolare aprì una cartolibreria in piazza Gesù Divin Lavoratore, al quartiere Tamburi.

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