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Il reportage
25 Agosto 2024 - 06:15
Lo "slum" in Kenya
Era agosto 2019, qualche giorno prima dell’Assunzione - o come si dice da noi, del Ferragosto, ed ero andata in Kenya, a Nairobi, per un progetto video a scopo umanitario. In questo articolo e nel successivo, vi racconterò un po’ della durezza e della bellezza di quei giorni, come tributo alle persone speciali incontrate e alla luce che nonostante tutto ho visto risplendere nei posti più bui del mondo.
Arrivai a Kibera, e l’impatto non fu facile. La chiamano “L’Inferno dell’Africa”, e quando si arriva lì si capisce perché.
È la baraccopoli più grande del continente africano, a un passo dal centro di Nairobi. Circa due milioni di persone vivono in condizioni impossibili anche solo da immaginare per chi viene dal cosiddetto “Occidente”.
Dopo 10 ore di volo e una notte quasi insonne venni catapultata in una realtà coloratissima, ma spietata: le case di lamiera, i bambini che giocano in fiumiciattoli di acqua putrida e fango o tra i chili di spazzatura che ricoprono le strade. I bambini, scalzi e sporchi, mi seguivano, incuriositi dalla camera. Un senso profondo di miseria, misto a inadeguatezza, mi nacque dentro.
La base dove risiedevo io con il mio team era il “Kivuli Center”, un centro per bambini di strada fondato da padre Renato Sesana - per tutti Kizito - un missionario comboniano che, da anni, salva i bambini dalla strada - di solito sono orfani, abbandonati, maltrattati, denutriti - e li accoglie al “Kivuli Center”. Il nome, in lingua Swahili, vuol dire “Rifugio”.
Padre Kizito
Aveva due occhi azzurri grandissimi e profondi, padre Kizito: dentro ci potevi vedere tutti i cieli dell’Africa dove, nei lunghi anni di missione, aveva portato il suo cuore e la Chiesa di Cristo.
Il giorno dell’Assunta scoprii una piccola cappella all’interno del Centro. Un arazzo africano dietro l’altare, delle panche di legno. Silenziosa, umile, bellissima. Iniziai a leggere un libro che padre Kizito aveva scritto, sulle storie dei bambini incontrati nei lunghi anni di missione. Storie di miseria, ma anche di profonda speranza, fede e spiritualità. Aria nuova per i miei polmoni che stavano respirando una bruttezza mai vista. Qualche ora dopo iniziò la Messa, animata dai bimbi del Centro. Le letture e i canti erano in lingua Swahili. Un balsamo per il cuore.
Nel mezzo della celebrazione saltò la corrente: rimanemmo con due candele sull’altare e le voci dei bimbi che cantavano a celebrare una delle Messe più importanti e gioiose dell’anno, nonché una di quelle più belle a cui io abbia mai preso parte. Una Messa intrisa di un grandissimo amore e del sorriso di ognuno di quei bimbi, che nonostante tutto, non avevano ancora perso la purezza negli occhi e la gioia sul volto. Ballammo, cantammo e pregammo insieme: dentro quella piccola cappella, nel centro dell’inferno dell’Africa, stavamo toccando un pezzo di Paradiso.
Quella sera, lo Spirito di qualcosa di molto più grande di noi e di tutto il male del mondo, mi ha toccato, forse ancora più profondamente che in ogni altro momento della vita.
Quella sera, nel buio, la luce ha brillato più forte che in ogni altra sera.
In padre Kizito e nella sua missione, negli occhi di quei bambini, in quel “Rifugio” dentro il caos, ho visto che la Risurrezione dell’amore è reale, e vince il male.
Che non importa cosa sia successo alla tua vita e al tuo passato, tutti sono capaci di rifiorire se amati profondamente, e che per tanti che hanno provato a distruggere l’anima di quei bambini, altri come Padre Kizito, stanno provando a ricostruirla, e che un atto di amore sincero e puro vale più di molti atti di violenza e di odio.
Papa Benedetto una volta ha detto che l’Africa è “un immenso ‘polmone’ spirituale, per un’umanità che appare in crisi di fede e di speranza”.
In quei brevi, lunghi, dieci giorni a Kibera, ho scoperto che questo è profondamente vero.
Di quando, in molti luoghi dove andavo a filmare, le donne sulla porta di case di fango grandi 1 metro per 2, mi invitavano con un gran sorriso a cenare con loro, offrendomi la loro povertà, insieme a tutta la loro grande dignità. Perché c’è una dignità infinita nei poveri.
Padre Kizito, quando gli parlai, mi disse che “La missione è stare in strada e uscire da sé”. Che non sappiamo mai cosa la vita ci riserva, di nuovo e di bello, finché siamo chiusi dentro di noi e nelle nostre paure. Che non conosceremo mai l’altro finché avremo dei pregiudizi sulla sua storia e la sua provenienza, e che non vivremo mai fino in fondo la vita fino a che non decideremo di aprirci alla sua straordinaria novità e bellezza, una bellezza che non viene compromessa dalla bruttezza intorno. Quel tempo in Africa mi ha regalato questa verità per la vita - al di là delle circostanze date o dagli apparenti ostacoli - e questo è un piccolo tributo a questo grande insegnamento.
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Testata: Buonasera
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